Anakinra, il farmaco promettente che è stato ignorato

La soluzione era a portata di mano, e fin dal maggio del 2020. Lo studio dei ricercatori del San Raffaele dimostrava che molecole come Anakinra, ad azione immunosoppressiva capace di spegnere l’eccessiva risposta immunitaria e contribuire in questo modo alla ripresa funzionale dei polmoni, era una via da seguire. Ma lo studio dell’Istituto è rimasto lettera morta: l’AIFA non lo ha mai approvato.

L’epidemia del Covid-19 passerà alla storia per una affermazione che è stata insistentemente ripetuta fin dall’inizio, e che è diventata una sorta di slogan, di marchio: non c’è cura. Anche negli ultimi giorni i virologi da red carpet e i media di regime lo hanno ribadito con maggiore aggressività del solito: chi parla di curare il Covid è un ciarlatano, è un imbroglione. Eppure questa è la realtà vissuta da centinaia di medici che hanno praticato – e ancora oggi praticano – le terapie domiciliari precoci. Ma la storia dell’epidemia, lo ribadiamo, è quella di una continua negazione della possibilità di cura della malattia; una posizione assolutista, dogmatica, cieca ad ogni scoperta scientifica. Sono molte le terapie che avrebbero potuto mettere fine all’emergenza pandemica, facendo del Covid un virus curabile come tanti altri.

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di un farmaco che avrebbe potuto rappresentare una delle soluzioni più efficaci: l’Anakinra. Non si trattava di un prodotto nuovo, ma di un farmaco già ben noto ai medici, un potente farmaco ad azione immunosoppressiva e antinfiammatoria. Usato in reumatologia, in particolare contro l’artrite reumatoide, già lo scorso anno venne sperimentato contro il Covid. Fu una sperimentazione condotta non da quelle associazioni di medici diffamati come “stregoneschi”, ma da un istituto di ricerca d’eccellenza come il San Raffaele di Milano.

Già nel maggio del 2020 i ricercatori del San Raffaele erano in grado di provare la sicurezza e l’efficacia di Anakinra per contrastare le forme gravi di COVID-19, attraverso uno studio, condotto dall’immunologo Giulio Cavalli e coordinato dal professor Lorenzo Dagna, primario dell’Unità di Immunologia, reumatologia, allergologia e malattie rare.

Lo studio dimostrò l’efficacia e la sicurezza di questa  molecola – anakinra – capace di spegnere l’eccessiva risposta immunitaria causata dalle forme gravi di COVID-19. La sperimentazione venne effettuata all’interno del maxi studio clinico osservazionale su COVID-19 coordinato dal professori Alberto Zangrillo, direttore delle Unità di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare, e dal professor Fabio Ciceri, vice direttore scientifico per la ricerca clinica e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo.

I risultati dello studio furono pubblicati sulla prestigiosa rivista Lancet Rheumatology. L’ipotesi di utilizzare Anakinra nasceva da una delle prime inoppugnabili evidenze degli studi sul Covid: lo sviluppo di una tempesta infiammatoria, o citochinica, responsabile delle complicanze letali dell’infezione. Le cure del Covid come noto (per chi vuole capire e non si ostina a chiudere gli occhi) sono fondate proprio sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori, dall’acido acetilsalicilico all’ibuprofene fino al cortisone. Più di una volta chi si è trovato a fronteggiare il Covid si è domandato quante persone si sarebbero potute salvare con l’utilizzo di sostanze in grado di spegnere il focolaio infiammatorio. Ebbene, la soluzione era a portata di mano, e fin dal maggio del 2020. Lo studio dei ricercatori del san Raffaele dimostrava che molecole come Anakinra, ad azione immunosoppressiva capace di spegnere l’eccessiva risposta immunitaria e contribuire in questo modo alla ripresa funzionale dei polmoni, era una via da seguire. Ma lo studio dell’Istituto è rimasto lettera morta: l’AIFA non lo ha mai approvato – visto che si tratterebbe di un utilizzo off-label del farmaco, ovvero oltre il suo utilizzo autorizzato – e il Ministero non lo ha mai preso in considerazione per i protocolli di cura domiciliare, che sono rimasti inchiodati al paracetamolo e alla vigile attesa.

Eppure questo utilizzo di un farmaco che in passato era stato già utilizzato in modo sperimentale il trattamento di altre gravi malattie sarebbe stato pienamente giustificato, anche alla luce del risultato delle ricerche del San Raffaele. Un farmaco che è provato che agisce neutralizzando Interleuchina-1 (IL-1), una molecola infiammatoria prodotta dal sistema immunitario in risposta a infezioni virali. Considerato inoltre che Anakinra è un farmaco accessibile e disponibile in gran parte del mondo, il suo utilizzo avrebbe potuto avere un risvolto clinico immediato: una terapia off-label sicura per attenuare la tempesta infiammatoria scatenata dal coronavirus.

Ma non è finita: gli studi su Anakinra vennero ripresi dalla prestigiosa rivista Nature, che ebbe a confermare che l’uso di questo farmaco ha ridotto la mortalità e i ricoveri in terapia intensiva, aumentando la guarigione completa nei pazienti ricoverati con prognosi sfavorevole dovuta al rischio di insufficienza respiratoria grave. La diminuzione della mortalità relativa è stata del 55%, raggiungendo l′80% nei pazienti colpiti da tempesta citochinica. Dati che dovrebbero far riflettere. Come si fa ancora oggi a dire che non c’è cura? Le terapie ci sono, e da tempo, ma il dramma spaventoso è che sono state ostacolate in tutti i modi.

Paolo Gulisano

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