Cronaca futura di una Chiesa apostata nel romanzo di Valli

Paolo Gulisano intervista Aldo Maria Valli

“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. Queste parole del Vangelo di Luca risuonano da quasi duemila anni. Aldo Maria Valli, giornalista profondo conoscitore della Chiesa, nel suo nuovo romanzo, L’ultima battaglia, torna ad immaginare una futura apostasia della Chiesa. E la resistenza di un piccolo gregge.

“Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?” Queste parole del Vangelo di Luca risuonano da quasi duemila anni, come un monito, come una pungente domanda che ci costringe a guardare con attenzione estrema alla realtà. Negli ultimi tempi, queste parole stanno assumendo una valenza quasi drammatica. Nella Chiesa si diffonde sempre più un pensiero non-cattolico (lo aveva già segnalato Paolo VI) e tra i fedeli si diffondono timori e perplessità.

Aldo Maria Valli, giornalista profondo conoscitore della Chiesa, della sua bellezza ma anche delle sue miserie, per molti anni vaticanista per essere di recente trasferito alla redazione sportiva della RAI, ha trasformato queste domande e preoccupazioni in un libro. Valli è autore di numerosi saggi, ma questa volta per parlare del futuro (e del presente) della Chiesa, ha scelto la forma della narrativa. L’ultima battaglia (editrice Fede & Cultura) è il romanzo appena uscito che ci rivela un Valli sorprendente narratore, capace di confezionare un romanzo di fantastoria avvincente come un Giallo e profondo come un saggio teologico. Lo abbiamo incontrato per parlare di questo suo lavoro.

Aldo Maria Valli, dopo essersi cimentato una prima volta con il genere distopico con Come la Chiesa finì, eccola nuovamente alle prese con questo genere di narrativa, dell’immaginario ma non troppo.

Sì, ho ceduto alle insistenze dell’editore e mi sono messo alla prova. Una specie di scommessa con me stesso. Dal punto di vista stilistico, ho cercato di applicare alla narrativa il passo del cronista televisivo: frasi brevi, ritmo serrato. Circa i contenuti, ho riversato nella vicenda tutti i miei timori, i miei dispiaceri e però anche le mie speranze a riguardo della nostra bella fede cattolica e della nostra santa madre Chiesa.

Il titolo L’ultima battaglia curiosamente è lo stesso che C.S. Lewis diede al romanzo conclusivo delle Cronache di Narnia… Un’opera che si conclude con una sorta di Giudizio Finale.

Mi sono reso conto solo a cose fatte che avevo scelto lo stesso titolo di Lewis, ma a quel punto ho preferito non cambiarlo, perché mi ha accompagnato per tutta la fase ideativa e mi ci ero affezionato. Inoltre Lewis è uno dei miei autori preferiti ed essere in qualche maniera accostato a lui mi riempie di emozione. Circa il giudizio finale, nel mio romanzo è un elemento decisivo. Ho voluto che fosse così in polemica, rispettosa ma decisa, rispetto a un certo misericordismo che va per la maggiore, secondo il quale Dio accoglie ma non giudica e noi stessi dovremmo essere non giudicanti. In realtà Dio giudica eccome, e tutta la nostra esperienza di fede è giudizio e valutazione su ogni singolo aspetto del nostro essere persone.

Scorrendo le pagine del suo libro, e vedendo la descrizione della grande apostasia della Chiesa cattolica, sembra che questo futuro lontano che lei descrive non sia poi tanto remoto, purtroppo…

Ha ragione. Il romanzo è distopico, ma non ho voluto allontanarmi troppo dall’oggi. Diciamo che è un futuro che per certi aspetti è già qui e per altri è appena dietro l’angolo. Ti dirò poi che ogni tanto, mentre scrivevo, avevo la sensazione di essere superato dalla realtà! Tempi duri per chi si dedica alla fanta-religione!

In questo romanzo ha descritto i personaggi della storia usando una grande delicatezza, specie quando si tratta di personaggi non propriamente ortodossi come don Martin Lundberg e il suo partner, il teologo Joshua Grant…

Non ho progettato don Martin e il professor Grant a tavolino: è come se mi fossero usciti spontaneamente dal cuore. Attraverso la loro vicenda, il loro rapporto, ho voluto lasciar trasparire la mia vicinanza e, direi, il mio rispetto per coloro che vivono situazioni che la Chiesa disapprova. Non di meno, in quanto figlio della Chiesa, mi attengo al Catechismo, là dove si parla di “disordine”. Non a caso Martin e Joshua, anche lungo una via di dolore, prenderanno progressivamente coscienza di tale disordine. Ovviamente non posso dire di più!

Un personaggio che colpisce e commuove è quello di Serena, una donna dalla fede solida, limpida, che vuole voler bene alla Chiesa e ai suoi vertici, nonostante la deriva eretica che questi hanno preso. Attraverso questo personaggio cosa ha voluto mostrare?

Per dare vita a questo personaggio non ho dovuto andare molto lontano. Il modello l’ho in casa, perché si tratta di mia moglie. Che cosa ho voluto dimostrare? Da un lato che la Chiesa, nonostante le tante infedeltà dei suoi membri, può contare sempre su un esercito composto da tanti soldati semplici silenziosi e buoni. Dall’altro che la domanda che dobbiamo farci, se davvero vogliamo bene alla Chiesa, non è genericamente “che fare?”, ma “io che cosa posso fare?”. Dipende sempre da noi. Ho voluto mettere in luce la generosità e la lealtà di Serena, una donna che, pur scombussolata a causa di certe derive dei pastori, nemmeno per un attimo pensa di ritirarsi o di polemizzare, ma si mette in gioco e continua a lavorare nella vigna del Signore.

Nel libro si avvertono diversi echi autobiografici. Il vaticanista spagnolo che viene licenziato solo per avere cercato di vedere chiaro nell’operato dei vertici vaticani ricorda qualcuno…

Le dirò che non era nelle mie intenzioni essere troppo autobiografico, poi però il personaggio del vaticanista mi ha preso la mano, mi ci sono identificato e a quel punto ho pensato di sfogarmi un po’. Il romanzo infatti l’ho scritto durante quella che io chiamo la mia “cattività babilonese”, una sorta di esilio forzato dalla professione a causa delle mie idee circa l’attuale pontificato. In Alberto c’è moltissimo di Aldo. Ci sono i miei dispiaceri, le mie sconfitte, ma c’è anche la mia ostinazione e la mia passione per il giornalismo. Inoltre la casa di Alberto è quella dei miei sogni!

Nel libro emerge la realtà di forze potenti al lavoro per estirpare dal mondo Cristo: la Loggia, e la Confraternita, che opera all’interno della Chiesa stessa, e che ricorda qualche conventicola che nel recente passato frequentava amene località elvetiche.

Sì, si tratta di mafie, se vogliamo definirle così. Il riferimento alla massoneria e alla lobby gay è trasparente. Sono associazioni che utilizzano e strumentalizzano la Chiesa per i loro fini di potere e per operare la grande rivoluzione: sostituire Dio con l’uomo. Da questo punto di vista, posso dire che nella prima riga del romanzo c’è già tutto il contenuto dell’opera. Da buon cronista televisivo ho voluto applicare anche alla narrativa la regola aurea di un servizio di quindici righe: la notizia prima di tutto. Qualcuno potrebbe pensare che, nel tratteggiare i cattivi, mi sia ispirato molto alla realtà, ma ciò è vero solo in parte. E sa perché? I miei cattivi tendono a essere intelligenti, mentre nella realtà, molto spesso, sono solo sfrontati.

Contro il male, tuttavia, resiste un piccolo gregge. Sembra aver fatto sua l’idea di Robert Hugh Benson e di altri autori distopici, ma dando una nuova speranza. È così?

Certamente. Mi hanno ispirato le considerazioni che Joseph Ratzinger fece nel 1969, ai microfoni della radio tedesca, quando profetizzò la fine della Chiesa così come l’abbiamo conosciuta. Avremo presto, disse il futuro papa, preti ridotti al ruolo di assistenti sociali e il messaggio di fede ridotto a visione politica. Tutto sembrerà perduto, ma al momento opportuno, proprio nella fase più drammatica della crisi, la Chiesa rinascerà. Sarà più piccola, più povera, quasi catacombale, ma anche più santa. Perché non sarà più la Chiesa di chi cerca di piacere al mondo, ma la Chiesa dei fedeli a Dio e alla sua legge eterna. La rinascita sarà opera di un piccolo resto, apparentemente insignificante eppure indomito, passato attraverso un processo di purificazione. Perché è così che opera Dio.

In conclusione, senza svelare nulla ovviamente della trama del libro, sembrerebbe dalle sue pagine che le battaglie, come gli esami, non finiscano mai.

Nel mio romanzo, come dicevamo, è centrale l’elemento del giudizio divino. Un messaggio forte che ho voluto contrapporre a un’idea di Chiesa zuccherosa e “amica”, secondo la quale il timor di Dio e l’ira di Dio sono cose superate. Ma è centrale anche il tema del male, del mysterium iniquitatis, secondo le parole di san Paolo. La parola iniquità oggi la intendiamo in senso sociale, politico ed economico, ma prima di tutto ha un significato teologico. La mancanza di equità, la mancanza di giustizia, ha la massima espressione nel negare a Dio il posto che gli compete, ossia il ruolo di creatore e giudice. La più grande ingiustizia, dunque, è proprio negare Dio, sopprimere il padrone della vigna e pretendere di mettersi al suo posto. Tentazione sempre risorgente, perché il grande seduttore non è uno che si arrenda facilmente. E poi, così, mi sono tenuto aperto uno spiraglio: magari il romanzo potrà avere un seguito, chissà.

Paolo Gulisano

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