DALLA SCOZIA UNA LEZIONE DI CIVILTA’

bandiera scozzeseIl referendum con cui il popolo scozzese ha scelto di rimanere nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è stato un episodio di valore politico e culturale estremamente importante, Vale la pena soffermarsi su qualche riflessione, a beneficio del lettore italiano che negli ultimi giorni ha ricevuto una serie di informazioni molto spesso approssimative dal punto di vista storico. Per molti italiani, inoltre, la Scozia è ancora un paese esotico ed eccentrico dove gli uomini portano una gonna chiamata kilt e trangugiano whisky.

Cominciamo con il dire che dalla Scozia è arrivata una straordinaria lezione di civiltà: il referendum non riguardava questioni marginali o di lana caprina come spesso siamo abituati in Italia a dover decidere, ma era una domanda da far tremare i polsi e lacerare le coscienze: vuoi che questo paese torni ad essere indipendente, con tutti i rischi che questa scelta comporterà, o vuoi continuare a far parte dello Stato britannico, uno Stato in cui quasi tutti gli scozzesi, anche quelli che hanno votato no, si trovano a disagio? La domanda in apparenza era semplice, e se le conseguenze fossero state altrettanto semplici (ce ne andiamo, è stato bello finché è durato, arrivederci e grazie) oggi festeggeremmo una Scozia indipendente. Ma il mondo della politica è molto più complesso.

In questo scenario difficile, con gli occhi non solo di Londra, ma anche del mondo intero puntati addosso, la Scozia ha vissuto questo momento con grande passione- si è raggiunta una percentuale di votanti da anni sconosciuta in Occidente- ma in modo del tutto pacifico. Non si sono mai registrati incidenti, durante la campagna elettorale, e anche oggi, in questo day after, la situazione è assolutamente tranquilla. Gli indipendentisti non hanno il timore di farsi riprende dalla BBC col volto rigato di lacrime, ma non c’è rabbia né livore contro quei concittadini che hanno votato per restare sotto l’egemonia di Londra. Uno spettacolo davvero ammirevole, se pensiamo alle tensioni, agli odi, agli scontri, ai delitti che spesso accompagnano i tentativi di ottenere l’indipendenza da parte di una nazione. Pensiamo, solo per stare in anni a noi vicini, al conflitto tra i paesi della ex-Jugoslavia, a Timor Est, al Sud Sudan, ai paesi baltici ex sovietici. Pensiamo alla situazione odierna dell’Ucraina, pensiamo ai Paesi Baschi o all’Irlanda del Nord con le sue tante vittime innocenti.

Anche la Scozia avrebbe potuto essere una polveriera: ci sono i precedenti del suo passato tragicamente violento e insanguinato. Secoli di guerra col potente vicino inglese che periodicamente provava a varcare i confini del Vallo di Adriano, e in seguito guerre civili e religiose durate fino alla “pacificazione” britannica del ‘700. Odi settari che tuttavia sono proseguiti fino ai nostri giorni. Ogni anno la polizia scozzese registra centinaia di casi di “aggressioni razziste contro bianchi”, e questi bianchi sono i cattolici, prevalentemente di origine irlandese. L’ex giocatore e allenatore del Celtic di Glasgow è stato oggetto per anni di minacce e aggressioni verbali e fisiche per il solo torto di essere un cattolico nordirlandese. Una lunga, triste storia di settarismo e di odio cui forse questo referendum può mettere la parola fine. Nella campagna referendaria infatti l’elemento discriminante religioso non si è visto. Certo, non si può fare a meno di notare che le zone della Scozia dove i sì hanno vinto- Glasgow, Dundee, il Lanarkshire- sono quelle dove la percentuale di cattolici è più alta. E la percentuale di quelli che venivano sprezzantemente chiamati “papisti” è inversamente proporzionale al tasso di benessere di quelle zone. Zone industriali e minerarie dismesse, devastate dagli anni della Thatcher, con tassi di disoccupazione indegni di un paese del Nord Europa. Qui il sì ha vinto, perché l’indipendenza era vista come una speranza, come un’opportunità di costruirsi un futuro migliore.

Dunque niente rabbia né violenza, tra le Highlands e l’East End di Glasgow, e nemmeno recriminazione nei confronti dei propri concittadini che hanno detto no grazie alla libertà. Anche questa è una bella lezione. Certo, si ha la netta consapevolezza che senza le fortissime pressioni esercitate nelle ultime settimane da Londra, dalla City, dai media britannici e da poteri forti ecomomico-finanziari le cose avrebbero potuto andare diversamente. Un voto libero, questo non si discute, ma decisamente condizionato dall’esterno.

Lo conferma il dato forse più eclatante nell’analisi del voto: il Sì ha vinto largamente tra i giovani; nella fascia di mezza età il risultato è stato di un pareggio, mentre gli anziani hanno votato in larga maggioranza per il no. La paura di vedere svanire la pensione, il gruzzolo in banca faticosamente accantonato, e magari un po’ di emotiva affezione per la Corona da parte di quelli che magari per essa combatterono in guerra da El Alamein al Pacifico.

Lo Scottish National Party analizzerà immediatamente il voto, questi elementi e valuterà se sono stati fatti errori. Non c’è rassegnazione: non finisce qui, mormorano in molti, e non è una minaccia.

Nel corso di questa campagna lo SNP ha avuto una interessante evoluzione, perdendo alcune caratteristiche movimentiste radicaleggianti, e precisando la propria identità, collocandosi inoltre in una visione europea. Un’attenzione per l’Europa poco ricambiata, e anche questa è stata una delle cause del risultato delle urne: se infatti fossero stati dati segnali di accoglienza da parte dell’Unione Europea, probabilmente molti elettori non avrebbero temuto un salto nel buio monetario nell’eventuale dopo-sterlina.

Cosa deve aspettarsi ora la Scozia? Teoricamente una pioggia di provvedimenti di devolution, promessi largamente da tutti i politici di Londra, ma su questo gli scozzesi sono già scettici. La paura tuttavia che ha attanagliato per qualche settimana Downing Street e forse anche Buckingham Palace dovrebbe indurre i politici inglesi a non scherzare più con la Scozia. Quell’impressionante massa del 45% per cento potrebbe crescere ancora. In fondo i vicini irlandesi dovettero aspettare ben settecento anni per avere la libertà. Alla Scozia potrebbe bastare molto meno.

Paolo Gulisano

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-dalla-scozia-una-lezione-di-civilta-10376.htm

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