Giuseppe Moscati: un medico santo al servizio della vita

Novant’anni fa, il 12 aprile del 1927, si spegneva nella sua città di Napoli Giuseppe Moscati, il primo medico del ‘900 ad essere elevato agli onori degli altari.
Fu un medico eccellente e caritatevole, insigne ricercatore e docente, uomo di grande dirittura morale e di fede profonda; Giuseppe Moscati giunse alla santità incarnando nell’ordinaria concretezza dell’esistenza quotidiana l’ideale del laico cristiano.

Fin da giovane i due punti di riferimento principali della sua vita erano stati la fede e l’amore per lo studio. Giuseppe aveva ricevuto dai genitori una profonda educazione cristiana, e dotato com’era di un’intelligenza brillante quanto penetrante, si dimostrò sempre uno studente modello, coltivando con grande passione lo studio delle scienze naturali, la musica e la pittura.

Moscati si laureò col massimo dei voti, lode e dignità di stampa della sua tesi sperimentale.

Maturò presto la scelta di dedicarsi all’attività clinica in ospedale, continuando peraltro a coltivare la passione per la ricerca scientifica e per l’insegnamento della medicina. In particolare si era appassionato allo studio della biochimica, avendo intuito la crescente influenza che tale disciplina era destinata a svolgere su tutte le branche della medicina.
Dopo essere stato dal 1903 al 1908 assistente volontario di fisiologia presso l’Università di Napoli, Moscati intraprese il percorso accademico che lo avrebbe portato ad ottenere due libere docenze, in chimica fisiologica e in clinica medica generale. In qualità di libero docente di chimica fisiologica svolse corsi di “indagini di laboratorio applicate alla clinica” e di “chimica applicata alla clinica”.

I suoi corsi di Clinica medica, che svolgeva presso l’Ospedale degli Incurabili di Napoli, lo vedevano continuamente attorniato da una schiera di allievi entusiasti delle sue straordinarie capacità cliniche, della sua non comune cultura medico-scientifica e delle sue eccezionali doti di umanità.

Divenne inoltre redattore per le lingue inglese e tedesca di “Riforma Medica”, una delle maggiori riviste scientifiche italiane di allora. Divenne membro di prestigiose associazioni scientifiche pubblicando numerosi ed apprezzati lavori scientifici.

Accanto a questo grande impegno di ricercatore, non trascurava affatto l’attività ospedaliera. Lavorava presso l’ospedale di Santa Maria del Popolo degli Incurabili, il migliore della città napoletana, dove dopo alcuni anni di grande e apprezzatissimo impegno diventò primario.

Era un clinico dotato di geniale intuizione e di una mirabile attitudine alla diagnosi. Riusciva sempre ad individuare il segreto delle varie malattie pur nella complessità dei sintomi.

Le sue straordinarie doti cliniche e didattiche, unite alla testimonianza cristiana generosa e coerente, ne fecero rapidamente crescere la fama fra gli ammalati, che a lui si affidavano sempre più numerosi, e tra i giovani medici e studenti di medicina, che in lui riconoscevano un modello da seguire, ma anche un amico e un consigliere. Fu proprio la consapevolezza del bene che poteva fare ai malati e ai giovani colleghi a spingerlo a dedicarsi prevalentemente all’attività di corsia. Maturò così, non senza una comprensibile sofferenza, la rinuncia alla carriera universitaria, nonostante gli fosse stata offerta la cattedra di chimica fisiologica, disciplina che tanto gli stava a cuore.

Ogni giorno si chinava sul dolore umano; trascorreva tutto il tempo che poteva in ospedale al capezzale degli infermi, cercando di alleviarne le sofferenze.
Per lui il dolore non era soltanto un problema fisico, ma era il grido di un’anima che chiedeva aiuto.

Tutti i giorni, dopo essere stato in ospedale, si recava nel suo studio dove trovava ad attenderlo una lunga fila di pazienti, provenienti da ogni parte dell’Italia Meridionale.

Terminate le visite nello studio, Moscati si recava al domicilio di quei malati che, impediti a raggiungerlo dalle gravi condizioni fisiche, avevano chiesto una sua visita per lettera o tramite qualche parente. Spesso questi malati si trovavano nei quartieri più poveri, nei “bassi”. In tali luoghi portava la sua competenza di medico insieme alla speranza e al conforto per le anime.

Moscati si donava ai pazienti con un amore che non conosceva risparmio, soste o limiti. La sua esistenza trascorreva facendo del bene, a imitazione del Medico divino delle anime.

La sua giornata iniziava tutte le mattine con la Santa Messa, nella chiesa di Santa Chiara o del Gesù Nuovo o nella chiesa delle Sacramentine, e terminava a tarda ora a casa di qualche malato.

Uomo integro e cristiano tutto di un pezzo, Moscati non esitava a denunciare gli abusi, adoperandosi per far cadere prassi e sistemi contrari alla professionalità autentica, come l’arrembaggio alle posizioni di potere, agli “abusi che diventano diritti acquisiti…” come ebbe a dire.

Il medico napoletano manifestò grande coraggio nella difesa della verità e della giustizia, come in alcuni episodi di concorsi “pilotati”, secondo una triste prassi.

Invitava i suoi studenti ad amare la verità, a qualunque prezzo, anche quello della persecuzione. Invitava ad essere coraggiosi e pronti al sacrificio.

Altrettanto coraggio Moscati lo dimostrava nel manifestare pubblicamente il proprio Credo in un periodo in cui la cultura dominante si orientava in senso materialistico, ateistico ed anticlericale.
Moscati testimoniava apertamente che il fondamento della sua esistenza, della sua professionalità, di ogni scelta della sua vita, era l’appartenenza a Cristo. Coltivava una intensa devozione per la Santa Eucarestia, dalla quale attingeva quotidianamente la forza per dedicarsi alla sua missione.

Anche Moscati era un convinto sostenitore ed un testimone esemplare della necessità di coniugare scienza e fede in perfetta armonia. Sempre rispettoso delle altrui convinzioni, coglieva ogni occasione per annunciare il Vangelo. Alle prescrizioni mediche non manca di aggiungere il consiglio di pregare e di accostarsi ai sacramenti.

Considerava l’essere medico una straordinaria occasione per fare del bene e fare dell’apostolato, per stare vicino ad anime assillate dal dolore.

La vocazione di Moscati era quella di amare Dio senza misura nell’amore e senza misura nel dolore, e fare tutto per amore. Per dedicarsi senza limiti e senza riserve alla sua missione di laico e di medico cristiano Moscati fece liberamente e dopo lunga riflessione la scelta del celibato e ad essa si mantenne sempre fedele.

Fu proprio un tale incessante spendersi totalmente e con estrema generosità che finì per sfibrarlo fisicamente. Il 12 aprile 1927, a soli quarantasette anni, il “medico dei poveri”, il clinico insigne, il pioniere della biochimica, morì improvvisamente nel suo studio, probabilmente stroncato da una crisi cardiaca, poco dopo aver terminato l’ennesima visita.
Si è appena sparsa la notizia della sua morte e già a Napoli la gente comincia a chiamarlo il “medico santo”.

Non si era mai compiaciuto dei suoi successi professionali, non aveva conosciuto l’orgoglio di chi si mette in vista, non aveva inseguito il denaro. La medicina era stata la sua missione.

Una missione di carità instancabile, nascosta, eroica, che lo aveva portato a spendersi totalmente per gli altri, nel curare i corpi, nell’elevare le anime, senza mai chiedere nulla per sè, fino all’ultimo respiro.

I suoi resti trovarono riposo nella Chiesa del Gesù Nuovo a Napoli. La sua beatificazione avvenne nel 1975, mentre il 25 ottobre 1987 il medico napoletano venne canonizzato da papa Giovanni Paolo II, il papa che aveva avuto un fratello maggiore medico, morto giovane anch’egli per cause legate alla professione.

Da allora vennero intitolate al medico santo numerose Divisioni di Medicina, a cominciare da quella dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, di cui egli era stato Primario.

Giuseppe Moscati resta uno dei maggiori testimoni di come un medico possa fare della propria vita una missione.

Egli costituisce un esempio non soltanto da ammirare, ma da imitare, soprattutto da parte degli operatori sanitari.

Paolo Gulisano

www.riscossacristiana.it

 

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