Il “pensiero unico” sul Covid arruola gli psichiatri

La repressione totalitaria del dissenso sembrava un ricordo del passato. Invece torna prepotentemente sulla “Rivista di Psichiatria”: chiunque osi avanzare dubbi sulla gestione della pandemia dovrebbe essere trattato da psicopatico. Ma si dimenticano le vere priorità: occuparsi di chi ha sofferto per le conseguenze del lockdown.

Nel suo capolavoro 1984, George Orwell parlava di “congelamento volontario di ogni pensiero critico” come presupposto per la realizzazione di una nuova società, di un nuovo ordine mondiale fondato sul pensiero unico. Per arrivare a questo congelamento, a questa autocensura, era necessario procedere propedeuticamente con misure coercitive.

I totalitarismi del XX secolo hanno cercato a realizzare le distopie di Orwell, e purtroppo ci sono riusciti: ogni deviazione dalla narrazione ufficiale del potere, ogni forma di dissenso, portava al Gulag, o all’ospedale psichiatrico, perché chiunque dubitasse che che il sistema in cui viveva non fosse il migliore possibile, non poteva che essere pazzo. Gli psichiatri nazisti o stalinisti o maoisti hanno scritto delle pagine orrende della storia della medicina.

Si pensava che questo uso ideologico della psichiatria fosse solo un brutto ricordo del passato, ma un recente articolo apparso sulla Rivista di Psichiatria a firma del Professor Giuseppe Bersani ha aperto prospettive a dir poco inquietanti. La Rivista di Psichiatria rappresenta una delle più antiche pubblicazioni di approfondimento scientifico sui temi della psichiatria in Italia. Il professor Bersani è specialista in Psichiatria ed in Criminologia Clinica e Psichiatria Forense. Già Professore Ordinario all’Università La Sapienza di Roma, svolge attività di ricerca clinica e scientifica, nei campi della psichiatria clinica, dei fattori di rischio per i disturbi mentali, della psicofarmacologia clinica. L’articolo in questione, dal titolo L’altra epidemia,  si prefigge di essere una riflessione sul «fenomeno psichico» della negazione della realtà della pandemia di Covid-19.

Cosa significa per Bersani «negazione» della pandemia?  Significa mettere in discussione non solo i dati della ricerca scientifica su di essa, ma anche «le finalità terapeutiche del vaccino e le politiche sanitarie nazionali e internazionali, così come questo emerge nell’ambito dei cosiddetti movimenti no-vax». Pertanto l’articolo di Bersani si propone di descrivere «i possibili quadri psicopatologici alla base o associati a tale fenomeno, valutate analogie e differenze di questi con quelli della nosografia psichiatrica classica, considerate ipotesi interpretative psicologiche e psichiatriche che possono in qualche misura caratterizzare una realtà vasta e complessa, nella cui conoscenza e nella cui gestione gli psichiatri potrebbero svolgere un ruolo molto più rilevante di quello attualmente svolto».

In altre parole, per lo psichiatra non solo chi mette in discussione l’esistenza della pandemia, ma anche chi esprime dei dubbi in merito a determinate politiche per contrastarla è un malato psichico. Anzi, con un termine degno della Psichiatria ottocentesca, quella dei manicomi e degli elettroshock, usa un termine sprezzante e volgare: idioti. L’incipit dell’articolo è proprio questo: «Idioti. È molto semplice ridurre a questa definizione un fenomeno psichico con vastissime ripercussioni sociali che sta assumendo una dimensione assolutamente imprevedibile fino a tempi immediatamente precedenti il momento storico attuale.“Idioti” sono coloro che nel contesto planetario della pandemia di Covid-19 ne negano la stessa esistenza, o attribuiscono a essa un’origine intenzionale decisa da fantomatici centri di potere globale e finalizzata al controllo totale sulla popolazione mondiale, o non riconoscono efficacia o utilità della vaccinazione di massa o di altre misure rivolte al suo contenimento, o vedono in queste un ulteriore strumento di manipolazione e controllo».

Tra questi cosiddetti idioti ci sono evidentemente illustri colleghi di Bersani, impegnati in varie specialità della Medicina, ricercatori, scienziati, che sono arrivati a risultati che mettono in dubbio le granitiche certezze di Bersani. Non c’è più spazio, nel tempo del pensiero unico, per dibattiti, discussioni, confronti, in cui ciascuno sostiene una propria tesi. Se divergi sei un idiota, o uno psicopatico. Infatti il professor Bersani non si limita ad usare il termine «idiota» come contumelia, bensì da ad esso un valore di malattia mentale. Si arriva di fatto a psichiatrizzare il dissenso, attribuendo una valenza di patologia a opinioni o condotte non concordi con quelle più largamente accettate nell’opinione pubblica o sostenute dalle istituzioni.

Il “dissidente” sarebbe qualcuno che soffre di disturbi fobici della personalità, di paranoia, di dissociazione. Problematiche che richiedono evidentemente interventi terapeutici, si vedrà se di tipo farmacologico o “rieducativo”. Ed è proprio questo ruolo attivo degli psichiatri che l’articolo rivendica: il problema dei dissidenti «presenta al suo interno così tante posizioni da richiedere necessariamente una lettura approfondita, una valutazione e un intervento articolato e diversificato da parte degli operatori della salute mentale. Potrebbe forse concretizzarsi in un imminente futuro l’ipotesi, inizialmente impensabile ma adesso di sempre maggiore potenziale realismo, che accanto alla voce degli infettivologi, dei virologi e dei gestori della salute pubblica divenga necessario ascoltare anche quella degli psichiatri».

La realtà è che per gli psicologi e gli psichiatri attualmente di certo un campo di impegno relativo alle conseguenze dell’epidemia non manca di certo, ed è conseguenza dell’insicurezza, del terrore seminato e diffuso dal pensiero mainstream in questi due anni, e dalle conseguenze dei lockdown, degli isolamenti, dell’impossibilità di avere una vita sociale normale. Queste sono le priorità, non la “riabilitazione” psicoterapetutica dei dissidenti, che rappresenterebbe una prospettiva molto pericolosa, un ulteriore passo verso una società del controllo totale sulla persona.

Paolo Gulisano

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