Il sogno (divenuto realtà) di fra Walfrid

L’Osservatore Romano

Il 6 novembre del 1887 venne fondato in uno dei più poveri quartieri di Glasgow, in Scozia, il Celtic Football Club. Il Celtic, destinato in seguito a diventare uno dei più prestigiosi club calcistici al mondo, nacque come una sorta di “squadra dell’oratorio”, per iniziativa di un religioso marista, fratello Walfrid.

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Glasgow, dalla metà dell’Ottocento, aveva accolto decine di migliaia di irlandesi che cercavano lavoro, sfuggendo alla miseria che imperversava sulla loro terra, e che ricoprivano i ruoli più poveri: minatori, muratori, operai nelle fabbriche di una delle più grandi città industriali del regno. Vivevano in tuguri, in quartieri-ghetto, discriminati per la loro fede cattolica. Solo la Chiesa era accanto ai loro bisogni, attraverso la presenza di sacerdoti e religiosi, che con grandi sacrifici diedero vita a strutture parrocchiali, a chiese e scuole. Fratello Walfrid era uno di questi.

Il suo nome era Andrew Kerins: era nato a Ballymote, un villaggio nel sud della contea di Sligo, in Irlanda, nel 1840. Durante la sua infanzia dovette assistere all’apocalisse che si abbatté sull’Isola di Smeraldo: tra il 1845 e il 1848 una devastante carestia, aggravata dall’insensato sfruttamento delle risorse irlandesi da parte del governo inglese, provocò la morte per inedia di più di un milione di persone, il 18 per cento dell’intera popolazione. Un altro milione di persone furono costrette a emigrare, cercando salvezza per sé e per le proprie famiglie che sostenevano da lontano con le rimesse del loro lavoro. Gli irlandesi andarono negli Stati Uniti, in Canada, in Oceania, e i più poveri, quelli che non potevano pagarsi il biglietto per la traversata, andavano nelle grandi città industriali inglesi e scozzesi. La famiglia Kerins riuscì a sfuggire a questa tragedia, vedendo tuttavia molti suoi componenti emigrare per cercare pane e lavoro. Il giovane Andrew non dimenticò mai ciò a cui assistette in quegli anni: il nord-ovest dell’Irlanda — dove era nato e cresciuto — fu tra le zone più colpite dalla “Gorta Mòr”, la grande letale carestia. Riuscì a studiare, a diventare insegnante, e a ventiquattro anni entrò nella Congregazione dei fratelli maristi, il cui carisma era quello dell’insegnamento.

Prese il nome di fra Walfrid, e tale rimase sempre. Non diventò prete, ma da religioso si occupò di insegnare nelle scuole primarie. La Congregazione lo mandò, appena trentenne, a Glasgow. Qui gli immigrati irlandesi erano migliaia, confinati in quartieri-ghetto, in particolare nella parte est della città. Erano poveri, e per di più discriminati per la loro fede cattolica. La Scozia calvinista e unionista (una lealtà politica verso Londra che aveva dato benefici solo alle classi alte) guardava con sospetto e disprezzo a questi immigrati, le cui braccia peraltro erano indispensabili alle grandi industrie di Glasgow, così come alle miniere delle contee limitrofe.

Fratello Walfrid insegnava nelle umili scuole parrocchiali, fondò anche istituti, senza alcuna sovvenzione pubblica, ma si rese conto che nei vicoli di Glasgow, nelle case malsane e sovraffollate, c’era un bisogno precedente a quello, pur importantissimo, dell’istruzione: mancava il pane. Walfrid rivide le scene che aveva visto anni prima in Irlanda: vide gente cui mancava il necessario, madri che non riuscivano a sfamare i propri figli, malati privi di cure.

Così decise di affiancare all’attività di insegnante un infaticabile impegno di aiuto ai poveri. Fu così che alla fine del 1887 ebbe una geniale idea: il Football in Scozia era diventato già una realtà importante. Le partite di squadre come i Rangers, gli Hearts of Midlothian, gli Hibernians di Edimburgo richiamavano già migliaia di spettatori. Si sarebbe potuto fondare una squadra, lì, tra gli slums di Glasgow, con l’aiuto di qualche parrocchia, una squadra gli incassi delle cui partite sarebbero serviti per sostenere i poveri, per portare cibo sulle loro tavole. Nel novembre del 1887 fra Walfrid si incontrò nei locali della parrocchia di St. Mary, nel cuore dell’East End, e insieme ad alcuni laici di buona volontà, gli esponenti più significativi della comunità cattolica, fatta da qualche proprietario di pub, di qualche operaio diventato impresario edile, e di un medico dal cuore grande che curava gratuitamente i suoi poveri pazienti, fondò il Celtic Football Club. Il nome Celtic fu scelto per richiamare le radici storico-culturali di natura celtica delle popolazioni scozzesi e irlandesi. Erano stati presi in considerazione altri nomi, come “Hibernian” o “Harp”, che tuttavia erano esclusivamente irlandesi. Fu invece proprio fratello Walfrid a volere la denominazione Celtic, il substrato comune a scozzesi e irlandesi. Arpe e trifogli esprimevano bene l’identità irish, ma fra Walfrid volle un nome che fosse significativo anche per gli scozzesi, cugini gaelici degli irlandesi. Un termine che indicasse una appartenenza, ma che non fosse strettamente confessionale o discriminante. Fu scelto dunque Celtic, mentre sui colori non ci fu alcun dubbio: il bianco e il verde, simbolo dell’Irlanda ma anche della celticità.

Nel 1888 la squadra cominciò a giocare le prime partite, e ben presto l’entusiasmo delle migliaia di cattolici di Glasgow e dell’intero Strathclyde trascinarono la formazione a grandi successi. Da squadra “dell’oratorio”, il Celtic divenne una squadra professionistica a tutti gli effetti, senza mai dimenticare però gli scopi e le finalità per cui era stata fondata. Il sodalizio venne etichettato come “la squadra dei cattolici”, ma in realtà fin dai primi tempi l’appartenenza al team non era preclusa a nessuno, indipendentemente dalla propria confessione religiosa, a differenza dei Rangers, la squadra dei protestanti unionisti, che praticò per oltre un secolo l’apartheid nei confronti di giocatori cattolici.

La finalità della squadra biancoverde di raccogliere fondi, attraverso partite e tornei, da destinare alle opere di carità non è mai venuta meno, così come l’essere un punto di riferimento, attraverso bandiere, canti e iniziative parallele, per le comunità irlandesi presenti in tutto il mondo. Con le sue vittorie diede alla comunità irlandese in Scozia e in tutta la Gran Bretagna l’orgoglio di una appartenenza e di una identità, e il sapore dolce della vittoria per un popolo che non poteva essere solo di vinti. Fratello Walfrid era stato un vero e proprio apostolo della carità nella Glasgow tardo-vittoriana, anche se il motivo per cui passò alla storia fu un altro: il frate infatti fu il fondatore di una delle squadre di calcio più famose al mondo: il Celtic Football Club, la prima squadra non latina a conquistare, nel 1967, la Coppa dei campioni.

Questo glorioso sodalizio calcistico, dalle inconfondibili divise a strisce orizzontali (the Hoops) biancoverdi, era nato dal grande cuore di questo frate, che si adoperava instancabilmente per aiutare i più poveri e i più emarginati della città di Glasgow, allora un grande centro industriale, la seconda città dell’impero britannico, dove però la mortalità infantile era quasi pari a quella di Calcutta. Il 25 maggio 1967 il Celtic visse il momento più importante di tutta la sua storia: si giocò il titolo di Campione d’Europa nella finale della Coppa dei campioni che si disputò nello Stadio nazionale di Lisbona, in Portogallo. Era una sfida praticamente impossibile contro quella che in quel momento era la più forte squadra del mondo: l’Inter di Milano, una squadra di fuoriclasse assoluti come Facchetti e Mazzola, guidata da un carismatico allenatore argentino, Helenio Herrera, soprannominato “il Mago” per le sue soluzioni tecnico e tattiche spesso straordinarie e imprevedibili, delle vere magie. Il Celtic affrontò i giganti italiani con una squadra di ragazzi usciti quasi tutti dal proprio settore giovanile. Tutti e undici inoltre erano nati in un fazzoletto di terra scozzese, entro trenta miglia dal proprio stadio, il mitico Celtic Park, soprannominato The Paradise, il Paradiso.

Quella vittoria fu un vero prodigio, il prodigio di Lisbona. Il sogno di fra Walfrid era divenuto realtà.

di Paolo Gulisano

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