La rivolta teologica dell’apostata Achab contro il male assoluto

Fino_all'abisso 1Recensione di “Fino all’abisso. Il mito moderno di Moby Dick” su Avvenire di domenica 19 luglio 2015 pag. 20

Riletture.

La rivolta teologica dell’apostata Achab contro il male assoluto

Mario Iannaccone

Che Moby Dick sia un romanzo-mondo lo compresero già i suoi primi lettori, quando uscì nel 1851. Ogni generazione s’è turbata e arrovellata seguendo il delirio del capitano Achab, ascoltando le molte digressioni del protagonista Ismaele che costringono all’interpretazione. Il grande romanziere americano, Herman Melville, ci costringe ad una lettura teologica della sua storia e della Storia. Chi è il sinistro Achab che porta il nome di un re biblico maledetto e guida la baleniera Pequod che ricorda nel suo nome una tribù indiana estinta?

Romanzo di romanzi, che incastona storie nelle storie dialogando con la Bibbia e antichi poemi, pieno di svolte impreviste, ironia e impennate epiche, riflessioni sui massimi sistemi che curiosamente riducono il mondo ad una grande caccia alla balena, Moby Dick è anche e soprattutto una profonda riflessione sul male. Di questo romanzo, che prende l’andamento di un ‘poema sacro’, Paolo Gulisano fa un’analisi tematica e narrativa in Fino all’abisso. Il mito moderno di Moby Dick (Ancora, pagine 160, euro 16) soffermandosi non soltanto sull’opera ma anche sull’autore e l’ambiente in cui la sua opera è fiorita. Alessandro Zaccuri nell’introduzione scrive che, per Achab, «l’Assoluto è diventato una condanna, una presenza enorme e nello stesso tempo sfuggente, verso la quale parrebbe lecito, se non addirittura irrinunciabile, esercitare il diritto alla rivolta». Egli si ribella alla presenza dell’Assoluto nella sua vita, lo nega e vorrebbe distruggerlo. Lo identifica nell’immane, tormentata carne della balena bianca. Ismaele, che porta il nome del figlio di Agar e Abramo, è colto nelle prime pagine da un profondo taedium vitae, poi decide di imbarcarsi non prima di aver visitato la chiesa del reverendo Mapple che avvisa i suoi fedeli di non scatenare la collera di Dio (uno dei temi del libro).

La nave imbarca gente che viene da tutto il mondo, come l’idolatra Queequeg o il parsi Fedallah, che adora il fuoco del suo antico monoteismo. La nave è vecchia, ha strana fattura e porta le tracce di numerosi viaggi. Achab porta il nome del re che nell’Antico Testamento si è convertito al culto di Baal, ha lottato contro il profeta Elia e ne è stato maledetto. Achab è un monomaniaco folle, vuole cacciare il Leviatano chiamato Moby Dick che gli ha strappato una gamba, sostituita da un moncherino d’avorio. Non è interessato a riempire le stive di olio di capodoglio, ma ad inseguire la balena bianca mettendo a rischio l’equipaggio e pare che soltanto l’ufficiale Starbuck riesca a comprenderlo. Ma ogni membro del Pequod è un prisma di rimandi e allusioni: da Pippin, l’agnello sacrificale, a Flask, Stubb, Tashtego.

Il Pequod, nel suo viaggio sempre più solitario e ossessivo, incontra tre velieri, il Samuel Enderby, il Rachele e il Letizia che rappresentano altrettante occasioni di racconti nel racconto e tappe d’avvicinamento allo scontro finale con il Leviatano. Quando arrivano allo scontro, Achab fa uscire da un nascondiglio alcuni malesi, imbarcati di nascosto, che lo aiuteranno nell’epica lotta finale: «Il comandante […] pur essendo cristiano di nascita, non sembra riconoscere alcun Dio sopra di lui, non pratica alcun culto, non prega e tiene un atteggiamento costantemente provocatorio nei confronti della divinità». La sua è una sfida radicale e un’ostentata apostasia. Secondo Gulisano tutto dimostra che «il conflitto di Achab contro il Leviatano-Moby Dick può essere visto come una ribellione dell’individuo, una personale rivendicazione di autonomia personale», il «non serviam» evangelico insomma. Achab lotta contro il caos rappresentato dal Leviatano senza riconoscere il kosmos trascendente o alcuna legge superiore. Per questo non può che essere sconfitto e affondato «fino all’abisso ». Il libro di Gulisano introduce il lettore alla comprensione d’un romanzo che, nella sua struttura singolare e originalissima, nella malìa feroce del suo epos metafisico, nelle sue molte voci enigmatiche, nelle immagini, preghiere e invettive, è ancora oggi una delle più perturbanti esperienze di lettura che un romanzo possa dare.

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