L’invenzione del vero, romanzi antichi e nuovi – Tolkien: “Il Silmarillion”

Con questo articolo dedicato al Silmarillion, Paolo Gulisano inizia una serie di letture e riletture dedicate al bello scrivere e al bel pensare che diventano grande narrativa. Il Silmarillion di Tolkien, che Gulisano definisce “la storia di tutte le storie”, per il suo respiro epico di romanzo delle origini, è una suggestiva scelta per muovere il primo passo nel nostro itinerario.

Il titolo scelto dall’autore, “L’invenzione del vero, romanzi antichi e nuovi”, mi è subito piaciuto per quel gusto di vecchia libreria dove la carta regna sovrana e incontrastata. E poi mi tocca personalmente poiché riprende quello del mio primo libro, Don Camillo & Peppone, l’invenzione del vero. Sono molto affezionato a quell’invenzione del vero perché lo pensò Carlotta Guareschi, entrata nella grande narrativa come “la Pasionaria”, a cui va il nostro ricordo e a cui vogliamo dedicare il nostro viaggio letterario. 

John Ronald Tolkien è ormai un classico della Letteratura del ‘900, e Il Signore degli Anelli è il suo capolavoro che da quasi 70 anni ha conquista il cuore di generazioni di lettori. Tuttavia, c’è un’altra opera di Tolkien che non può non essere conosciuta da coloro che si sono appassionati alle vicende degli Hobbit e del conflitto con Sauron: Il Silmarillion (Bompiani 2004). Un’opera apparsa soltanto dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel 1973.

Fu il figlio Christopher a dare una veste editoriale a quei racconti a cui Tolkien aveva lavorato per tutta la vita, pubblicati col titolo Il Silmarillion. Considerata dal figlio dell’autore Christopher Tolkien l’opera primaria, fondamentale e centrale del padre, è stata forse anche quella più amata dal suo autore; rappresenta un vero e proprio corpus mitologico, o legendarium, ideato come cuore dell’universo tolkieniano.

Il libro è strutturato in cinque parti. La prima, “Ainulindalë” (la Musica degli Ainur), riferisce della creazione di Eä, il “Mondo che è”. La seconda parte, “Valaquenta”, riporta la descrizione dei Valar, le “Potenze del Mondo”, e dei Maiar. La terza sezione, “Quenta Silmarillion”, riguarda gli eventi prima e nel corso della Prima Era, incluse le guerre per i Silmaril, che sono dei gioielli che danno il nome all’opera stessa. Erano degli oggetti dall’immensa bellezza e perfezione creati quando il mondo era giovane e non ancora rovinato dalla corruzione. In essi era racchiusa la luce dei due Alberi di Valinor, il luogo dove risiedevano le prime creature angeliche uscite dalla potenza creativa divina. La quarta parte, “Akallabêth”, concerne gli avvenimenti legati alla Caduta di Númenor e del suo popolo durante la Seconda Era. L’opera si chiude con una parte intitolata “Degli Anelli del Potere e della Terza Era”, in cui vengono riassunti gli eventi della Seconda e Terza Era dei quali sono protagonisti gli Anelli del Potere: questo racconto narra gli avvenimenti accaduti prima dello Hobbit.

Il Silmarillion è dunque la storia delle prime ere del mondo, fino alle vicende della Guerra dell’Anello, e il lettore troverà una serie di spiegazioni a quanto già incontrato nelle opere più celebri di Tolkien, ma non solo: si imbatterà in una serie di narrazioni dal grande respiro epico, una guerra iniziata agli albori del tempo. Per chi incredibilmente non avesse colto nel Signore degli Anelli lo straordinario spessore religioso del suo autore, davanti agli scenari del Silmarillion non potranno più esserci dubbi. Questa è infatti l’opera di un uomo profondamente religioso, e dove sono presenti, profondamente meditate, problematiche di tipo sacro.

Non c’è un Dio palesemente cristiano, certo, ma l’universo di Tolkien è volutamente pre-cristiano, e Dio è un dio nascosto. Egli ha creato il mondo, lo ha riempito di creature, e quindi è rimasto celato. Non c’è la Rivelazione e questo determina l’atmosfera dei racconti che è essenzialmente di nostalgia: gli Elfi, i primogeniti di Dio, sono le creature che più profondamente avvertono questo desiderio di ritorno alle origini, alla Terra oltre l’estremo occidente da cui sanno di provenire. Dio non è adorato, nei racconti tolkieniani, non gli è reso omaggio, non è oggetto di culto, ma è ricercato, bramato con un sentimento struggente e malinconico. All’Origine tendono gli Elfi, creature immortali, all’Origine tendono gli uomini dei regni numenoreani. Chi per sfuggire alla propria inevitabile sorte, chi per riassaporare la bellezza e la perfezione primordiale.

Sul cammino di questa ricerca c’è – inesorabilmente – il male, ossia la menzogna, l’invidia, la divisione. Satana – colui che separa – è il tentatore nelle vesti di Melkor o di Sauron, suo servitore. Il male in Tolkien, che è ben lontano da una visione manichea della realtà, è assenza di bene, è l’ombra, la mancanza di luce. Mordor era stata definita la “terra nera”, dominata dall’oscurità dei colori, dove domina l’ombra tenebrosa.

Tolkien usa frequentemente la parola shadow, ombra, appunto. Nel Signore degli Anelli si fa frequentemente riferimento all’ombra, tanto che Sauron stesso viene definito in tale modo. Nel Silmarillion invece la negazione, l’assenza del bene, l’iniquità sono l’espressione – resa con impareggiabile maestria – del tema della Caduta, un dramma che colpisce il mondo degli uomini.

Il Silmarillion è la storia del mondo fin dagli inizi, e si apre con una vera e propria Genesi, dove Dio, chiamato Ilùvatar, che significa «il padre di tutto», da inizio alla Creazione, come realtà buona. Ma poi si fa strada il male, rappresentato dalla potenza luciferina di Melkor, che non è una divinità malvagia, ma un angelo ribelle, inferiore in tutto al suo creatore, Iluvatar. Egli non può creare, perché questa è una prerogativa esclusiva di Dio, ma può sforzarsi di corrompere, di pervertire, di distruggere ciò che Dio ha creato, e ciò che Egli ama, poiché è divorato e mosso all’azione da un’invidia radicale per Dio. Inizia così un lungo tempo di conflitti, di ascese di regni e di cadute di altri, che vedono come protagonisti creature fantastiche, ma anche semplici esseri umani, come l’eroe Beren, modello per le virtù degli eroi tolkieniani delle altre saghe, come quella dell’Anello, e gli elfi.

Dietro a queste storie, dietro all’amore dell’elficità, traspare la concezione tolkieniana della bellezza, che è segno visibile della grazia, a sua volta riflesso di una più grande Grazia. Nel mondo non c’è solo il male, la paura, l’orrore: ci sono anche la bellezza e il bene, che trovano la loro origine e la loro consistenza in Dio. Il Silmarillion è dunque una narrazione esemplare, la storia di tutte le storie. Un affresco straordinario della condizione umana.

Paolo Gulisano

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