Newman, colui che combatté il relativismo teologico

Il beato inglese, che verrà canonizzato domenica, si convertì al cattolicesimo dopo una lunga ricerca della verità, e comprese che la santità è sequela di Cristo. Tutta la grande cultura cattolica anglosassone (da Chesterton a Tolkien) gli deve molto. E diverse sue intuizioni, compreso il rapporto tra fede e ragione, lo accomunano a Ratzinger.

Domenica 13 ottobre il beato John Henry Newman verrà canonizzato, nove anni dopo la beatificazione avvenuta a Birmingham nel settembre del 2010.

John Henry Newman, nato in Inghilterra nel 1801 e morto nel 1890, è stato uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, convertito al cattolicesimo. Newman nell’Ottocento positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio, fu un autentico segno di contraddizione che scosse l’Inghilterra sia cattolica che protestante.

Da anglicano aveva animato il Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica (la teologia del tempo in cui la Chiesa era ancora una e indivisa) e a confrontarsi con le sfide della modernità. Questa ricerca della verità lo aveva fatto infine approdare, a 44 anni, al cattolicesimo. Un distacco, quello dall’anglicanesimo a vantaggio di Roma, che fece scalpore.

Entrato a far parte della Congregazione di San Filippo Neri, si stabilì a Birmingham, fondandovi un Oratorio. Qui il grande pensatore, l’intellettuale brillante, si trovò accanto alla miseria degli slums, in una realtà ecclesiale dove pochi erano quelli che si erano potuti permettere un’istruzione; e proprio qui, e a partire da qui, la Grazia di Dio che era in lui cominciò a seminare a piene mani. “Il vero trionfo del Vangelo consiste in ciò: nell’elevare al di sopra di sé e al di sopra della natura umana uomini di ogni condizione di vita, nel creare questa cooperazione misteriosa della volontà alla Grazia… I santi: ecco la creazione autentica del Vangelo e della Chiesa”, scriveva.

Il modello di santità di Newman era fondato sulla sequela di Cristo. La sua teologia, che quando era in vita appariva ad alcuni “liberale”, in realtà fu sempre profondamente sensibile alla Tradizione e rispettosa dell’autorità magisteriale della Chiesa.

Le obiezioni cessarono quando, nel 1879, fu elevato alla porpora cardinalizia da Leone XIII alla soglia degli ottant’anni, un riconoscimento dovuto per la sua opera e per la nobiltà della sua figura. Venne altresì nominato Fellow onorario del Trinity College di Oxford, un riconoscimento accademico straordinario, se si pensa che era dai tempi della Riforma, tre secoli prima, che un tale riconoscimento del massimo istituto accademico inglese non veniva più dato a un cattolico.

In occasione del ricevimento della porpora cardinalizia, tenne un celebre discorso, che andrebbe riproposto anche oggi, nelle attuali contingenze ecclesiali: disse che il nemico che aveva combattuto per tutta la sua vita era il liberalismo teologico, ossia il relativismo, per cui tutte le religioni sono equivalenti. Un richiamo appunto attualissimo, anche se le sue parole chiare sembrano oggi non essere fatte proprie e riproposte dal pensiero ecclesiale mainstream.

Parole in piena sintonia con quelle di Benedetto XVI. Quando sarà fatto un bilancio definitivo del pontificato di Ratzinger, apparirà chiaro quanto importante sia stato l’influsso di Newman. Ci sono anche molte similitudini sul percorso intellettuale e umano dei due, compresa l’esperienza dell’incomprensione e della sofferenza.

Per entrambi, lo specifico servizio al quale sono stati chiamati ha comportato l’applicazione della fede e dell’intelletto a molti dei più urgenti problemi del tempo. Le intuizioni di Newman e Ratzinger sulla relazione fra fede e ragione, sullo spazio vitale della religione rivelata nella società civilizzata, e sulla necessità di un approccio all’educazione ampiamente fondato e a lungo raggio, dovrebbero continuare a ispirare e illuminare molti. In particolare, nel campo dell’educazione.

Nonostante la mitezza, quasi la fragilità della sua persona, il volto magro e solcato di rughe profonde in cui splendevano due occhi intrisi di ideale che avevano scrutato per anni in quella difficile Inghilterra dell’epoca vittoriana, John Henry Newman fu un fermo testimone della Fede, dalle qualità tipiche della Chiesa dei Padri.

Quando si spense a Birmingham, nel 1890, la Chiesa cattolica in Inghilterra era in piena rifioritura, dopo tre secoli di persecuzione ed emarginazione, grazie soprattutto alla sua opera. Newman lasciò il segno in generazioni di cattolici britannici, tra i quali numerosissimi convertiti.

Tutta la grande cultura cattolica anglosassone gli è in qualche modo debitrice: senza Newman non avremmo avuto Chesterton, Belloc, Tolkien, Bruce Marshall e tanti altri ancora.

L’auspicio è che – da santo – Newman possa essere venerato tra i patroni degli scrittori cattolici. Ma non solo: il miracolo che ha permesso la canonizzazione è stato la guarigione di una mamma di quattro figli di Chicago, Melissa Villalobos, che era in attesa di un quinto bambino. L’intercessione di Newman fece portare a termine una gravidanza difficilissima, che per i medici era destinata a finire con un aborto spontaneo.

Per questo Newman potrà essere considerato non solo un Defensor Veritatis, ma anche un Defensor Vitae.

Paolo Gulisano

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