Paolo Gulisano: nella pandemia prendersi cura della persona

‘Pandemie. Dalla peste all’aviaria: storia, letteratura, medicina’: è il nuovo libro digitale, rieditato, del dott. Paolo Gulisano, che prende l’avvio da una frase di santa Ildegarda di Bingen: ‘Sia il corpo dell’uomo sia le sue azioni si possono vedere. Ma dentro di lui c’è molto di più, si tratta di cose che nessuno vede e conosce’. 

Nell’introduzione al libro Paolo Gulisano, scrittore, specializzato in Igiene e Medicina Preventiva e docente di Storia della Medicina, scrive: “Uno spettro si aggira per il mondo: ne parlano i media, gli scienziati, i politici. Un nemico invisibile minaccia l’umanità, e non si tratta di terroristi o ‘scontri di civiltà’, ma di qualcosa di molto piccolo, e terribile, di nome virus. Un virus, o più microrganismi, che gli studiosi temono possa un giorno non lontano scatenarsi e mietere milioni di vittime, come fece nel 1918 la tristemente famosa epidemia detta ‘spagnola’. 

C’è un nome che sta diventando sinistramente familiare a molte persone: la pandemia. Si definisce epidemia una malattia che colpisca quasi simultaneamente una collettività di individui con una ben delimitata diffusione nello spazio e nel tempo. Affinché si sviluppi un’epidemia è necessario che il processo di contagio tra le persone sia abbastanza facile. 

Epidemie e pandemie sono dunque manifestazioni collettive di una determinata malattia, con implicazioni sociali significative. Il termine pandemia si applica solo a malattie o condizioni patologiche contagiose. Di conseguenza, molte delle patologie che colpiscono aree molto grandi o l’intero pianeta, come per esempio il cancro, non sono da considerarsi pandemiche. 

La malattia nella nostra civiltà è solitamente avvertita come un problema individuale, personale, un confronto tra una persona e un evento negativo che viene a turbarne l’equilibrio, la quotidianità, a minacciare la vita stessa”.

Partendo dall’introduzione gli abbiamo chiesto di spiegarci per quale motivo ha proposto questa riedizione del libro ‘Pandemie’: “Quando scrissi Pandemie, nel 2006, era infatti un momento  in cui si parlava molto dell’Influenza aviaria, l’influenza dei polli, che era attesa come una sorta di Peste del 2000. Si trattò di una minaccia-fantasma, ma decisi di cogliere l’occasione per parlare della storia delle epidemie. 

Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla ‘morte nera’ medievale fino alla peste del ’600, per giungere infine al ’900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi ed inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus. 

Oggi il coronavirus ci ha messo di fronte nuovamente allo spettro delle epidemie, e il mio libro- aggiornato a quanto sta accedendo oggi- ripercorre la lunga sfida che l’uomo affronta da secoli contro le malattie contagiose, le pesti di ieri e i virus misteriosi di oggi, compreso il coronavirus”.

Perchè nel caso del coronavirus non sono state prese le dovute precauzioni nel tempo opportuno?

“Proprio così, purtroppo. Anzitutto avrebbero dovuto essere fatti controlli molto più accurati su chi veniva dalla Cina, considerandolo- giustamente- una persona potenzialmente infetta e quindi posta in quarantena. Poi si sarebbe dovuto seguire il modello virtuoso della Corea del Sud, che ha effettuato subito migliaia di test per individuare i positivi e isolarli e curarli.

In Italia il virus ha circolato troppo a lungo indisturbato. Ci sono state colpe da parte del Governo che dovrebbero essere fatte emergere, non per polemica politica, ma per evitare di ripetere in futuro questo tipo di errori”.

Nel 2006 sottolineava il rischio di psicosi: perchè il coronavirus fa paura?

“Nell’Occidente contemporaneo la mortalità dovuta a malattie infettive, ossia trasmissibili, è percentualmente inferiore all’uno per cento. Di fatto si muore per malattie cronico-degenerative, come i disturbi cardiocircolatori, le malattie respiratorie, i tumori. Gli incidenti costituiscono la prima causa di morte tra i giovani al di sotto dei 25 anni, seguita al secondo posto dai suicidi. 

Questo è ciò per cui si muore oggi in Italia, in Europa e nel mondo occidentale. Eppure nessun dato sulla mortalità da tumori, da infarti, da ischemie cerebrali o da incidenti del traffico è in grado di determinare il panico collettivo suscitato dalla malattia infettiva, un ‘nemico invisibile’ che non si vede, che non si conosce. E poi diciamo pure che un certo panico è stato indotto anche dai Media, dalla ‘spettacolarizzazione’ dell’epidemia, addirittura da una ‘militarizzazione’ del linguaggio”.

Cosa significa prendersi cura della persona?

“Il compito della medicina è quello di farsi carico, con piena consapevolezza, della sofferenza che incontra, della malattia e della morte, in tutte le circostanze del lavoro. Scriveva il grande filosofo e teologo Romano Guardini: 

‘Quel che ferisce è ciò che nella vita vi è di ineluttabile: la sofferenza diffusa ovunque, la sofferenza degli inermi e dei deboli; la sofferenza degli animali, della creatura muta…il fatto che non vi si può cambiare nulla, che non si può toglierla di mezzo. Così è e così sarà. E qui sta la gravità della cosa’. Il compito del curare ha ogni giorno a che fare con il singolo segnato dalla malattia nel suo corpo e nel suo spirito”. 

Quale possibile modo per convivere con le epidemie?

“Questa è una domanda che ci poniamo oggi noi che viviamo in un Occidente a lungo benestante e sicuro. Nel Sud del mondo il confronto con le epidemie è costante, da sempre. Ogni anno muoiono più di un milione di persone nel mondo di TBC. Dati da far impallidire il Covid-19. 

La nostra vita cambierà certamente dopo questa pandemia, ma la speranza è che da questa terribile esperienza si possano trarre importanti apprendimenti, e non solo in merito all’igiene e alla prevenzione delle malattie, ma anche rispetto al rapporto che dobbiamo avere con la salute, la malattia, la morte, il bene personale e del prossimo. 

Diciamo subito una cosa importante: questa pandemia ha trovato i sistemi sanitari di quasi tutto il mondo, dalla Cina all’Italia agli Stati Uniti, decisamente impreparati. Eppure da parte degli epidemiologi da anni venivano avvertimenti sulla possibile insorgenza di nuove e pericolose malattie infettive. 

Nel 2002 avevamo avuto la prima epidemia da Coronavirus, la SARS. Poi un’altra nel Medio Oriente, la MES. Ma niente da fare: non ci si è sufficientemente preparati. Così il Covid-19 ha cominciato ad operare come un serial killer su scala globale, e la polizia, come avrebbero detto i vecchi cronisti di ‘nera’, brancolava nel buio. Nessuno aveva la terapia giusta, e persino le caratteristiche del virus non erano ben chiare. 

E tornando alla metafora della cronaca nera, solo gli esiti della autopsie che finalmente abbiamo a disposizione ci hanno messo sulla strada giusta dal punto di vista terapeutico. L’insorgenza diversa a seconda dei pazienti dipende da molti fattori individuali: l’età, il sesso (i due terzi dei morti sono maschi) la presenza di altre patologie.  

Il virus killer è sempre lo stesso:  sono le sue vittime ad essere diverse. Ma non è questo che determina la varietà di terapie in atto: dipende proprio dal fatto che letteralmente all’inizio, pur essendo nel 2020, e con la nostra evolutissima medicina, non si sapeva cosa somministrare”.

Paolo Gulisano

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