Qua la mano vecchio e caro Chesterton

di Luca Fumagalli

Ricordo benissimo la prima volta che lessi un romanzo di Chesterton. Fino a quel momento lo scrittore inglese era per me un nome come altri, sottratto ai cantucci più remoti della memoria solo perché mi veniva facile associarlo alla figura di Padre Brown di cui avevo sfogliato distrattamente qualche racconto al tempo della scuola. Il libro era L’uomo che fu giovedì. Credo sia uno dei testi più surreali e complessi di tutta la bibliografia chestertoniana, ma all’epoca, ovviamente, lo ignoravo. Fu una fiammata. Una pagina via l’altra e giunsi di volata al finale. Non ci capì nulla.

Mi sentivo addosso il peso di una sfida lanciatami in qualche modo da un paroliere che, a tutta prima, mi appariva in verità piuttosto pretenzioso. Troppi periodi contorti, troppi paradossi uno via l’altro, troppe involute retoriche rendevano il testo eccessivamente ponderoso, a tratti macchinoso (più tardi scoprì che molti detrattori di Chesterton la pensavano come me all’epoca). Non mi arresi. Ripresi il volumetto in mano con volontà di rivincita. Lo rilessi tutto d’un fiato. Avrei finalmente trovato il bandolo della matassa, a costo di perdere il sonno. Come prevedibile, continuai a non capirci nulla.

Qualcosa, però, era cambiato. Capitolo dopo capitolo, l’astio per l’autore si era trasformato in una sorta di gioia nascosta. Tutto continuava ad apparirmi al limite della follia, ma in me si stava facendo largo una sensazione di felicità mai sperimentata prima. Mi scoprì più volte, durante la lettura, a sorridere. Come se lo scrittore mi stesse suggerendo che anche dietro l’apparente caos della vita esiste una forza, un Amore con la “a” maiuscola, che veglia su ogni cosa, portando serenità e riscatto dove prima vi era solo tristezza e male. Quel giorno, per me, fu l’inizio di una passione che ancora continua.

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Oggi del grande Chesterton ho letto moltissimo, quasi tutti i lavori principali e molti dei “minori”. Il corpulento scrittore inglese, uno dei talenti più geniali del cattolicesimo britannico del XX secolo, fu infatti una penna singolarmente prolifica, cimentandosi con i più svariati generi. Sapeva essere conciso e fulminante negli articoli di giornale. I saggi, invece, fluiscono lenti, concetto dopo concetto – il tutto condito dagli immancabili paradossi – fino alla conclusione necessaria (e questo sia che si dibatta di letteratura, storia o religione). Nelle opere narrative e poetiche, poi, c’è spazio per tutti i gusti. Dalle indagini dei vari investigatori da lui creati, Chesterton sapeva passare con agilità all’epica distopica dell’Osteria volante, all’eroismo della Ballata del cavallo bianco e agli appassionanti confronti di idee contenuti in romanzo profondi e divertenti come Il Napoleone di Notting Hill, Uomovivo e La sfera e la croce (solo per citare i più noti). Memorabili i suoi lavori di taglio economico, nonché le biografie di San Francesco d’Assisi e di San Tommaso d’Acquino.

Fortunatamente in Italia negli ultimi tempi il nome di Chesterton ha iniziato a vivere una seconda primavera. Ogni anno nuovi volumi dell’inglese – ristampe o prime pubblicazioni – affollano gli scaffali delle librerie; sono aumentati gli appassionati, così come un grande incremento hanno avuto gli studi chestertoniani con articoli, incontri e convegni. A questo proposito merita una menzione particolare la Società Chestertoniana Italiana il cui presidente, Marco Sermarini, è tra gli artefici più importanti di questo provvidenziale revival.

Ma ancora non basta. L’opera di Chesterton è così vasta e complessa che ampi settori della sua produzione devono ancora essere dovutamente approfonditi e compresi. Un ottimo esempio, in tal senso, è rappresentato dal recente saggio di Paolo Gulisano, medico e scrittore, e di don Daniele De Rosa. Chesterton. La sostanza della fede (Edizioni Ares, 2017) è un testo profondo, ben strutturato, dalla lettura più che godibile. Soprattutto, è un libro che mancava. In un appassionante viaggio nei meandri più sfavillanti del Chesterton-pensiero, i due autori forniscono per la prima volta al lettore italiano una mappatura della poetica dello scrittore inglese, che spazia dallo stile letterario alla teologia, dalla politica alla scienza. La robustezza della prosa di Gulisano, autore prolifico ed esperto di cose angolsassoni, è sostenuta dalla perizia teologica di De Rosa; il risultato è un volume che potrebbe essere un’ottima lettura anche per chi si avvicina per la prima volta all’opera di Chesterton (che, come ricordato, per quanto divertente, non è certo facile).

Chesterton. La sostanza della fede è, in conclusione, la migliore dimostrazione di come il pensiero dell’inglese fu tutto meno che asistematico. Al contrario di molti tromboni del cattolicesimo post-moderno, Chesterton fu forse un tantinello eccentrico; eppure, nel medesimo tempo, nessuno come lui fu così “centrico”.

https://www.radiospada.org/2017/08/qua-la-mano-vecchio-e-caro-chesterton/

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