Scozia 16 aprile 1746

16 aprile 1746: una data terribile nella storia della Scozia: l’ora più cupa, l’ora della sconfitta. Il figlio del Re di Diritto, Giacomo Stuart, esule a Roma, il Bonnie Prince Charlie, ovvero Charles Edward Stuart, nel 1745 era sbarcato nelle Ebridi per rivendicare il Trono che gli spettava. Era iniziata una guerra contro l’occupante inglese, dapprima gloriosa e vittoriosa, poi sempre più ardua e difficile contro un nemico che aveva messo in campo forze di gran numero superiori. L’esercito di Charlie fu progressivamente respinto sempre più a nord, passando da una sconfitta all’altra, perdendo lungo il percorso gli uomini più stanchi che disertavano, demoralizzati.

Gli inglesi misero in campo due armate imponenti, composte ciascuna di circa 10.000 uomini, affidate una al generale Wade, l’altra al Duca di Cumberland, figlio dell’Hannover. Assieme a loro combattevano le milizie scozzesi raccolte dalla fazione filo-inglese, con in evidenza il clan Campbell guidato dal Duca di Argyll. Era stato inoltre creato qualche anno prima un intero reggimento di highlanders fedeli al governo inglese con lo scopo di “mantenere l’ordine” nelle alte terre: si trattava del celeberrimo 42°, noto per i tartan scuri delle uniformi come “The Black Watch”, la Guardia Nera, un reparto di élite che avrebbe dovuto coprirsi di gloria in tutte le guerre combattute dall’Impero Britannico fino al 1945, ma che durante il Fortyfive e nella spietata repressione che ne seguì fu solo sinonimo di infamia e di brutalità. Nonostante tutte le difficoltà il Principe riuscì ad attestarsi presso Stirling, alla porta delle Highlands, e qui riuscì a conquistare un’altra vittoria, l’ultima, nella battaglia di Falkirk, al termine del gennaio 1746. Fino a quando il coraggio e il valore degli uomini avrebbe retto ancora?  Le sorti della guerra erano segnate: il sogno del Bonnie Prince Charlie si spense in una pianura nei pressi di Inverness, nelle amate Highlands. Qui, a Culloden, ebbe luogo l’ultima battaglia che sia stata combattuta sul suolo dell’isola britannica.

Lo scontro decisivo per le sorti della ribellione giacobita ebbe luogo il 16 aprile 1746. Il Duca di Cumberland era annunciato in marcia da sud-est. Fu deciso di andargli incontro, operando una marcia forzata di dodici chilometri durante la notte. Alla guida dei suoi ultimi uomini superstiti, poco meno di 5.000, molti dei quali ragazzi di soli 14 e 16 anni che si erano uniti all’esercito giacobita nelle ultime settimane, allorquando aveva fatto ritorno nelle Highlands, il Principe decise di affrontare in campo aperto le soverchianti truppe del corpulento Duca, soprannominato The Butcher, “il Macellaio”.    Lo scontro non fu la battaglia epica, cavalleresca, eroica che Charlie sognava:  si risolse in uno spaventoso massacro degli highlanders. Le linee giacobite si spaccarono quasi immediatamente in due sotto il tiro terrificante dell’artiglieria pesante che gli inglesi potevano disporre in campo. Tra le fila giacobite non mancarono gli errori tattici, determinati dalla stanchezza, dalla confusione o dall’improvvisazione.

Un errore fu la scelta di combattere in campo aperto, su un terreno acquitrinoso nel quale i soldati a piedi affondavano fino al ginocchio, e nel quale viceversa la cavalleria inglese poteva muoversi rapidamente; fu un errore venir meno ad una tradizione che risaliva ai tempi di Wallace, per la quale il clan MacDonald ha il privilegio in battaglia di schierarsi sull’ala destra: disposti a sinistra, i MacDonald, disorientati e insoddisfatti, esitarono a lanciare il contrattacco nel momento in cui il centro dello schieramento era stato sfondato. Quando si mossero lo fecero in ritardo, e sebbene profondessero tutto il loro consueto valore, furono massacrati e non riuscirono ad arrestare l’avanzata inglese. La battaglia si risolse in una rotta. Il Principe non intendeva in alcun modo lasciare il campo di battaglia, finchè fu trascinato via a forza sul suo cavallo da alcuni ufficiali. Le perdite furono ingentissime: gli inglesi e i Campbell massacrarono tutti i feriti rimasti sul campo. Chi si arrendeva veniva ucciso sul posto. Gli highlanders furono inseguiti anche lontano dal campo di battaglia. Per giorni le truppe governative inseguirono i superstiti per ogni villaggio e in ogni valle, non risparmiando chiunque ospitasse o aiutasse i ribelli, donne o bambini compresi. Culloden si concluse in un’ enorme mattanza. Da questa disfatta la Scozia uscì definitivamente vinta e umiliata: l’indipendenza perduta, la Chiesa Cattolica brutalmente perseguitata, la cultura delle Highlands distrutta.   Nel frattempo era iniziata la spietata caccia al Principe.

Nonostante la favolosa taglia posta sulla sua testa, nessuno fu capace di tradirlo, e anche questo è significativo di quanto Charlie fosse nel cuore del suo povero popolo, ancora capace di soffrire e sacrificarsi per lui. Per oltre cinque mesi il Principe visse alla macchia, lui aristocratico cresciuto tra le dolcezze dell’Urbe, condivise la dura esistenza della sua gente, nascosto nei glens, dormendo all’addiaccio in mezzo all’erica. Cinque mesi braccato, con gli inglesi e i Black Watch che battevano palmo a palmo il territorio da Inverness ad Arisaig. Ebbe modo di essere aiutato da tutti: capi clan scampati a Culloden e a loro volta ricercati, contadini, pescatori. Era la loro ultima speranza, e doveva sopravvivere alla loro stessa catastrofe. Così avvenne: Charlie riuscì a sfuggire alla cattura, e tornò col cuore spezzato nell’esilio romano. Era la fine: gli Stuart non sarebbero mai più tornati sul trono di Scozia. Ma oggi, a distanza di quasi tre secoli, il sogno di Libertà e ancora vivo, e il silenzio del campo di battaglia di  Culloden presto si riempirà dei canti di gioia per l’Indipendenza recuperata.

Paolo Gulisano

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *