Una parola al giorno: piccola guida per apoti

Qualche tempo fa, mentre facevamo una conferenza insieme a due voci, l’amico Aldo Maria Valli mi sorprese (ma non troppo) dichiarandosi un membro della Società degli apoti.

L’apota è – etimologicamente – colui che non beve, ovvero che non se la beve. Questo termine fu coniato nel 1922 dal grande intellettuale Prezzolini, il mese prima che Mussolini guidasse la marcia su Roma. La sua immaginaria “Società degli apoti” era composta da tutti coloro che, davanti ai tumultuosi accadimenti di quel periodo e alle nuove realtà che si stavano imponendo, sceglievano di non lasciarsela dare a bere e di sottrarsi all’omologazione, cercando di preservare se non la libertà fisica quantomeno l’indipendenza e la limpidezza del pensiero.

La citazione di Prezzolini – pensatore caro ad Aldo – mi è venuta in mente leggendo in questi ultimi due mesi la sua rubrica Una parola al giorno. Davvero la raccolta dalla A alla V (manca la Z, caro Aldo. Ci poteva stare uno “zelatore” che è un tipo umano purtroppo emergente, o forse ancor meglio “zitto”, che è una delle parole d’ordine non scritte del nuovo ordine che si sta imponendo) rappresenta una vera e propria guida per orientarsi nella babele di interventi messi in atto da febbraio in poi per fare un pesante lavaggio del cervello alla popolazione. Se Aldo ricorre a Prezzolini, io gli aggiungo volentieri un C.S. Lewis, che nelle Cronache di Narnia faceva dire a un personaggio, il saggio professor Kirk (che in lingua scozzese significa Chiesa): “Tenete gli occhi aperti”.

Il piccolo dizionario che Aldo ha confezionato in questi due mesi ha dunque due funzioni fondamentali: aiutarci a non farcela dare a bere dal regime, e tenere gli occhi aperti per capire che cosa sta succedendo intorno a noi.

Non si tratta infatti solo di un problema sanitario, ovvero di un’epidemia come tante che ci sono state nella storia dell’umanità, e non certo tra le più gravi (parola di epidemiologo), ma il vero problema è rappresentato dalla rivoluzione sociale, culturale, economica, politica, ecclesiale iniziata in questo 2020, vero Annus horribilis.

Aldo Maria Valli nelle pagine di questa rubrica non ha fatto analisi di tipo tecnico del fenomeno, ma ci ha regalato delle pillole di saggezza, degli squarci di luce nella cortina fumogena creata dalla propaganda ufficiale.

Non possiamo – da lettori e da apoti – che essergli grati per questa rubrica.

Sempre Giuseppe Prezzolini diceva che gli italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi. Noi apoti, spiriti liberi, non vogliamo far parte né dell’una né dell’altra categoria. Ci rifiutiamo di portare il cervello all’ammasso, e anche di saltare sul carro dei vincitori. Siamo insieme in una posizione molto scomoda, molto difficile, ma non riusciamo a immaginarci diversi.

Quindi, caro Aldo, grazie per tutte le perle di saggezza che ci hai dato. Grazie per averci fatto sorridere – come quando per esempio hai scritto che se rinasci fai il virologo – ipotizzando che oltre al contagio causato dal coronavirus siamo vittime di un altro contagio, quello della dabbenaggine, e grazie per averci fatto riflettere.

Grazie per averci ricordato gli insegnamenti che da studente avevi appreso dal professor Gianfranco Miglio riguardo la teoria dello stato di eccezione secondo Carl Schmitt, ovvero quella particolare forma di potere politico che si viene a determinare in presenza di circostanze gravi, e tali da giustificare la sospensione delle leggi abituali e il ricorso a provvedimenti speciali, giustificati dalla necessità di affrontare adeguatamente la crisi. Ti sei chiesto: fino a che punto è possibile e legittimo sospendere lo stato di diritto a beneficio dello stato di eccezione? E siamo sicuri che poi, oltrepassata una certa soglia, si possa tornare indietro?

Grazie per averci ricordato le parole dei buoni maestri, come quelle di Benedetto XVI: “Chi impara a credere, impara anche a inginocchiarsi, e una fede e una liturgia che non conoscesse più l’inginocchiarsi sarebbe malata in un punto centrale”

Hai ricordato anche le sentenze dei cattivi maestri, quelle che oggi si stanno drammaticamente inverando, come la frase di Feliks Ėdmundovič Dzeržinskij, fondatore e primo direttore della Čeka, la polizia segreta sovietica: “Noi siamo per il terrore organizzato”.

Qualcuno potrebbe accusarti di essere un complottista, e tu ne sei ben consapevole. Credo invece che tu abbia semplicemente rivelato ai lettori la realtà, come quando hai parlato della paura, la grande protagonista di questo processo rivoluzionario: la paura di infettarci, paura della malattia, paura della sofferenza, paura della solitudine, paura degli altri, paura del futuro.

“Alimentata dai governanti, promossa dai tecnici, fomentata dal mondo dell’informazione, la paura si è insinuata ovunque, nei nostri cuori e nelle nostre menti, trasformandoci in prede costrette a rifugiarsi nella tana”, hai scritto. Il potere lo sa da sempre: la paura rende docili

E infine hai ricordato a tutti noi lettori, sofferenti e preoccupati per il corso preso dalle vicende ecclesiali, quelle parole pronunciate dal primo papa: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).

Forse saranno quelle che pronuncerà anche l’ultimo, chiunque sia Petrus Romanus.

Paolo Gulisano

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