Bob Dylan ha capito che Moby Dick è Dio

La Verità – 11/06/2017

Bob Dylan ha accettato il Nobel e nel discorso scritto per l’occasione, ha fra l’altro spiegato che “Moby Dick” di Herman Melville è una delle opere che ha maggiormente segnato lui ed i suoi testi: “il tema, con quel che implica, è presente in molte delle mie canzoni.”

Ma che legame può esserci fra i brani musicali di Dylan e la Balena Bianca? Il romanzo di Melville presenta una trama semplice, ma come intuisce il cantautore, “pretende molto dal lettore”. Nel corso degli anni in effetti innumerevoli critici hanno scritto su quest’opera. Alcuni hanno letteralmente analizzato parola per parola, altri hanno perfino decifrato le simbologie numeriche contando capitoli e paragrafi…

 

 

Dylan menziona la profezia di uno dei personaggi del romanzo il quale “dice che Moby Dick è l’incarnazione di un Dio che gioca a dadi, e qualsiasi relazione con lui porterà al disastro.”  La Balena Bianca è quindi l’allegoria di un Dio sfuggente, quasi inarrivabile? È legittima quest’interpretazione religiosa?

Paolo Gulisano ha approfondito e decifrato proprio lo sfondo biblico di “Moby Dick”. Nel suo libro “Fino all’abisso: il mito moderno di Moby Dick” intravede davvero nella figura dell’inarrivabile Balena Bianca l’immagine di Dio.

Il romanzo racconta l’uomo che si muove alla sua ricerca. Non c’è la Provvidenza del cattolico Manzoni. Questa concezione del divino restituisce potentemente l’idea puritana, e quindi profondamente americana, di un Dio nascosto che attende di essere trovato.

Nella figura tragica del Capitano Achab, Gulisano intravede il dramma dell’attualità: “Achab è l’icona dell’uomo della modernità, deluso dall’antropocentrismo da un lato e disilluso nei confronti di Dio”.

Il comandante è animato da una sete di vendetta inestinguibile. La Balena Bianca gli ha infatti divorato una gamba e l’ha marcato indelebilmente con una cicatrice che gli attraversa il corpo.

Ma perché l’immenso cetaceo diventa simbolicamente la terribile creatura attorno alla quale ruota l’opera di Melville? Si chiede Gulisano: “chi è il mostro tra Achab e Moby Dick? La Balena Bianca è forse la proiezione all’esterno dei mostri interiori del comandante? Oppure è il simbolo di una potenza divina che Achab rifiuta, e che per questo odia e combatte? E se Moby Dick, il mostro del mare, fosse in realtà un’immagine di Dio?”

È in questo corpo a corpo con il Mistero che si concretizza anche l’intuizione del primo e celebre traduttore di Melville, Cesare Pavese. Moby Dick venne da lui definito come “poema sacro”. Gulisano spiega quest’espressione di Pavese: Moby Dick “da romanzo d’avventura, diventa quindi vicenda esemplare, il racconto sacro, -come aveva intuito Pavese,- l’epica mitologica della modernità, dove il nocciolo della questione, il dramma principale è la rottura dell’unità tra Dio e l’uomo”.

Contro Moby Dick, Achab erge un tempio a sé stesso, contrapponendosi alla Creatura che senza sosta insegue. “La giusta via per adorarti è sfidarti” le grida.

È nell’affermazione cieca di sé che la vicenda del capitano s’intreccia col biblico Libro di Giona.

La storia del profeta fa da vero e proprio sfondo teologico a tutta l’opera. Afferma uno dei personaggi più iconici del romanzo, padre Mapple: “questo libro (di Giona n.d.r.), che contiene solo quattro capitoli, quattro filacce, è uno dei legnuoli più piccoli nel grosso cavo delle Scritture. Eppure quali abissi dell’anima non scandaglia la profonda sagola di Giona!”

Anche Giona, come Achab, rifugge Dio. Pure lui “scende nel cuore turbinoso di uno sconvolgimento folle” riportando ancora le parole di padre Mapple.

Tuttavia, ci ricorda Gulisano, “ciò che manca in Moby Dick è la conversione”.

Non c’è conversione nel “moderno” Achab. La sua storia è il ribaltamento di quella di Giona che, divorato dalla Balena, invoca Dio: “nella mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha esaudito; dal profondo degli inferi ho gridato e tu hai ascoltato la mia voce.” (Gn 2, 3-4)

Il comandante, anzi, come gesto estremo di ribellione verso Dio, battezzerà la sua ciurma nel nome del Diavolo.

Nonostante ciò, Achab non riuscirà mai a chiudere fuori da sé l’attrazione verso Mistero. Come scrive Paolo Pegoraro, malgrado Moby Dick compaia solo negli ultimi tre capitoli del libro, “lo colma con la sua assenza, incombe dalle profondità abissali sopra le quali navigano i suoi incauti cacciatori. Anche le molteplici digressioni non fanno altro che piegare ogni branchia del sapere a un suo tentativo di comprensione”.

I testi di Dylan sono pieni di questo stesso dramma. Ecco perché ha citato quest’opera nel suo discorso per il Nobel.

“Blowin’ in the wind”, ad esempio, nasce come tributo allo spiritual americano “Many Thousand Go”.

“La risposta, amico mio, vola nel vento” recita il ritornello. Il brano fu commentato addirittura da Giovanni Paolo II, il quale disse “che la risposta alle domande della vostra vita ‘sta soffiando nel vento’. È vero! Però non nel vento che tutto disperde nei vortici del nulla, ma nel vento che è soffio e voce dello Spirito, voce che chiama e dice ‘vieni!’. Mi avete chiesto: quante strade deve percorrere un uomo per potersi riconoscere uomo? Vi rispondo: una! Una sola è la strada dell’uomo, e questa è Cristo, che ha detto ‘Io sono la via’ ”.

I riferimenti biblici, nei testi di Dylan, sono comunque innumerevoli. Come “Moby Dick”, Dylan ci restituisce con forza l’essenza dell’America autentica. L’America che anche nel soffio del vento o nelle profondità del mare, cerca Dio.

Michelangelo Socci

 

 

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