Con i magi la vera scienza riconosce Dio

La Festa dell’Epifania è una delle celebrazioni cristiane più importanti, dopo la Pasqua e il Natale. Dio è entrato nel mondo, in un modo silenzioso, discreto, nascosto, certamente, ma questo evento non può e non deve restare sconosciuto agli uomini, all’umanità che da secoli attendeva questo evento, consapevolmente o inconsapevolmente. La salvezza è entrata nel mondo, la salvezza per ogni persona, nessuna esclusa. La salvezza si è fatta carne, il significato si è fatto carne, ed è ora non un’idea, una ipotesi, ma un fatto, cioè una realtà incontrabile. La Gloria di Dio, la Grazia di Dio si sono manifestate a tutta l’umanità.


Dio esce dal nascondimento attraverso un episodio particolare, di cui ci parla il Vangelo di Matteo, l’unico tra gli evangelisti che citi questo episodio: “Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo».
La descrizione dell’Apostolo è scarna: “alcuni Magi”. La tradizione popolare vuole che siano tre, ma in realtà- Vangelo alla mano- non sappiamo quanti fossero. Potrebbero essere stati anche di più, ma il tre è un numero particolare: è il numero della Trinità, quindi della Divinità. Un numero di perfezione. Venivano dall’Oriente, aggiunge Matteo. Quindi potevano venire dalla Persia, dalle terre dei Caldei, perfino dall’India remota e misteriosa. Di sicuro non appartenevano al popolo di Israele, il popolo che per primo il Signore aveva scelto. A questo popolo il Signore si era rivelato, manifestato, a Israele aveva parlato. Ora Dio vuole manifestarsi e rivelarsi a tutto il mondo, a tutta l’umanità. A chi lo aveva cercato magari scrutando il cielo e le stelle. Magi: chi erano costoro? Dei saggi, dei sapienti, degli studiosi. Dio infatti parla al cuore, ma parla anche all’intelligenza. Se erano stati degli umili pastori i primi ad accorrere ad ammirare stupiti il miracolo della nascita di Gesù, chiamati da un Angelo, ora invece sono degli uomini di scienza e di conoscenza che vengono per adorare. Dio è per tutti, per ogni etnia, e per ogni tipologia umana. E’ per i poveri ma non esclude affatto chi è in possesso di ricchezze, frutto del proprio talento e delle proprie capacità. Dio chiama e ama tutti, ma proprio tutti. I Magi piegano il ginocchio davanti a quel bambino in una umilissima mangiatoia, e gli offrono doni, doni simbolicamente significativi: l’oro è il simbolo della regalità, perché Gesù è un vero Re, è il Re dei Re. Gli offrono incenso, simbolo della divinità, perché da Roma fino al remoto Oriente l’incenso era prerogativa esclusiva degli dèi; gli offrono mirra, che era un unguento con cui si trattavano le persone defunte, ed è questo il simbolo della autentica umanità di Cristo, destinato a soffrire e morire per compiere la salvezza di cui è portatore. Ma il dono più grande che i Magi portano a Gesù è a mio avviso il dono della loro intelligenza, della loro conoscenza, della loro cultura. Mettono tutto ai piedi di quel bambino. L’adorazione dei Magi, dopo 2000 anni, ci ricorda che Fede e Ragione non sono in contrapposizione, in contraddizione, e tantomeno la scienza e la cultura. Questi uomini di scienza, che cercavano la Verità negli antichi libri o scrutando i cieli, questi indagatori del Mistero riconoscono che la risposta alla loro ricerca è in quel bambino. Apparentemente sembrerebbe una cosa assurda. Dove sono le prove della divinità di quel bambino? Quegli scienziati che avevano fatto tanta strada non ebbero dubbi. Ciò che videro e udirono fu sufficiente perché la loro ragione, la loro conoscenza, si adeguasse a quella realtà, a quell’evidenza, a quel fatto. L’adorazione dei Magi ci ricorda che l’uomo è fatto per Dio, è fatto per la Verità, e come insegna Sant’Agostino, il suo cuore è inquieto finchè non la incontra. I Magi ci ricordano che una scienza, una tecnologia, che non è disposta a riconoscere il Divino, a commuoversi di fronte ad esso, ad amarlo, non porta l’umanità da alcuna parte se non alla disperazione e alla rovina.

Paolo Gulisano

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