Covid-19 e terapia intensiva, il sistema sta reggendo

Con i suoi 2.251 casi positivi di Coronavirus, la Lombardia ha il 58% dei contagiati in Italia. La regione conta 244 ricoverati in terapia intensiva, su un totale di 321 posti dedicati all’epidemia a cui se ne potrebbero aggiungere altri 200. Servono anche infermieri e medici, ma allo stato attuale è difficile che il sistema sanitario collassi.

Qualcuno l’ha definita “l’Hubei italiana”: è la Lombardia, la regione dove si è avuto il primo caso autoctono di infezione da Covid-19, la regione con più casi e più morti, la regione sulla quale Giuseppe Conte ha cercato di scaricare le colpe dell’epidemia. Ma cosa succede realmente nella regione che rappresenta il motore dell’economia nazionale, una regione che ha 10 milioni di abitanti, quanti l’intera Svezia?

Intanto cerchiamo di capire l’entità del fenomeno epidemico: ad oggi, in Lombardia ci sono 2.251 casi positivi di Coronavirus, che rappresentano il 58% di tutti i casi verificatisi in Italia. Una percentuale che si è andata abbassando rispetto ai primi giorni, ma questo purtroppo è dovuto al presentarsi di nuovi casi nel resto del Paese. La media è di 160 casi al giorno, anche se ieri il numero di casi è stato di 430 in un giorno. Cosa significa questo? Che stiamo andando verso il picco dell’epidemia; ci attendono ancora giorni difficili, dunque, poi inizierà il trend discendente.

Qualcuno ha parlato di una forma più aggressiva del virus in Lombardiarispetto ad altre regioni, o anche rispetto alle modalità con cui il Covid-19 si è presentato in altri Paesi. È un’ipotesi da smentire: il virus è sempre lo stesso, quello che ha iniziato il suo cammino nell’Hubei nel dicembre scorso; ciò che varia è naturalmente il contesto sociale e demografico.

Analizzando i dati epidemiologici, riscontriamo che la mortalità in Lombardia è del 4,3%, sensibilmente più alta che nel resto d’Italia, dove è del 3,8, e più alta che nella stessa Cina. Questo dato è spiegabile in rapporto a quella che è l’età della nostra popolazione. Le persone che hanno più di 65 anni in Italia rappresentano il 23% della popolazione. In Cina rappresentano l’11%. Siamo il secondo Paese al mondo (dopo il Giappone) col più alto tasso di anziani; l’età media italiana è di 83 anni, mentre quella cinese è di 76 anni, e visto che la mortalità è più alta nelle fasce di persone anziane, il dato italiano e lombardo è perfettamente in linea con il nostro quadro demografico.

I deceduti in Lombardia sono per la maggior parte della zona rossa, nel Lodigiano, e della provincia di Bergamo. Ce ne sono anche uno di Milano e uno dell’hinterland milanese.

Veniamo ad un altro aspetto dell’epidemia che rappresenta un vero incubo per chi governa la cosa pubblica, una spada di Damocle sulla testa di tutti: la possibilità ventilata che il Sistema Sanitario possa andare in tilt, travolto dal numero di ricoverati. Com’è la situazione ad oggi? In Italia ci sono attualmente 2141 ricoverati, di cui 351 in terapia intensiva. Nella sola Lombardia i ricoverati sono 1413, di cui 244 in terapia intensiva. Anche qui abbiamo dei dati significativi: le persone in condizioni gravi rappresentano – sia a livello nazionale che a livello lombardo – il 17% circa di coloro che si trovano in ospedale. Se poi sommiamo i casi già guariti e quelli che si trovano in quarantena domiciliare senza una sintomatologia che comporti il ricovero, ci accorgiamo che i casi critici rappresentano poco più del 6% della totalità dei contagiati da Covid-19.

I reparti di terapia intensiva, infatti, sono quelli dove vengono garantite cure intense a pazienti con particolari stati di salute di media o alta gravità, quali ad esempio il supporto delle funzioni vitali (respiratore meccanico, farmaci inotropi, ecc.), con necessità di monitoraggio continuo. Nel reparto è garantita assistenza infermieristica specializzata in numero non inferiore ad una unità ogni due letti e di un medico, normalmente anestesista-rianimatore. Quanti sono oggi in Lombardia i posti di terapia intensiva dedicati al Coronavirus? Sono esattamente 321, a cui si potrebbero aggiungere, secondo la Direzione del Welfare, altri 200 posti.

Ma oltre ai letti, serve anche personale infermieristico e medico specializzato, di difficile reperibilità in una situazione come quella attuale che vede le piante organiche degli ospedali in seria sofferenza di organico. Se dunque il numero di casi gravi, che comportino un’assistenza intensiva, dovessero ancora crescere, ci troveremmo in difficoltà, anche se è difficile pensare ad una condizione di collasso del sistema.

Mentre ieri Conte ipotizzava la costruzione di nuovi ospedali (senza specificare naturalmente con quali tempi, ma sappiamo bene quanto tempo sia necessario a realizzare un ospedale, che non consiste nel tirare su delle mura), la Regione Lombardia ha deciso lo stop di «tutta l’attività ambulatoriale non urgente»: una misura presa per recuperare personale da utilizzare nei reparti di terapia intensiva e pneumologia. Una misura che segue quella dello stop al 70% degli interventi programmati, una misura che vale sia per le strutture pubbliche che per quelle private convenzionate, che hanno risposto positivamente alla richiesta della Regione.

In linguaggio militare, si può dire che si stanno buttando nella mischia del campo di battaglia tutte le riserve. E se questo è quello che succede in prima linea, occorre che anche le retrovie e i civili diano una mano, limitando la diffusione del contagio attraverso buone pratiche di igiene personale, come non ci stancheremo mai di raccomandare.

Paolo Gulisano

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