Dizionario della fede – “P” come Poveri

Opened book with flying lettersLa povertà è la prima beatitudine della Legge di Gesù, il fondamento su cui innalzare tutto l’edificio cristiano

La Chiesa, nella sua storia bi millenaria, ha sempre parlato ai poveri e ha parlato della povertà. Addirittura, una particolare forma di povertà- quella di spirito- è considerata una beatitudine. La povertà come virtù consiste nel raggiungere sul serio il distacco dalle cose terrene; nel sopportare lietamente le scomodità, quando ci sono, o la mancanza di mezzi.

«Andate e riferite a Giovanni quello che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri e annunziata la buona novella» dice il Vangelo di Matteo.

San Josemaría, in occasione della festa di San Francesco il 4 ottobre, consigliava di meditare sulla virtù della povertà. Diceva: “Traete le conseguenze pratiche necessarie per la vostra vita personale”. Non ti rallegra provare così da vicino la povertà di Gesù?… figli miei, avete ascoltato ciò che il Signore ci dice; le sue parole mi smuovono interiormente: quindi ameremo il distacco, lo ameremo con predilezione; perché quando lo spirito di povertà si incrina, vuol dire che tutta la vita interiore sta andando male. (…) Com’è bello essere privi anche del necessario! Però come Lui: in modo nascosto e silenzioso.

La povertà è la prima beatitudine della Legge di Cristo Gesù, il fondamento su cui innalzare tutto l’edificio cristiano, la via sulla quale camminare per portare il regno di Dio in mezzo agli uomini, la porta per entrare nella beata eternità. Per comprendere la povertà in spirito, bisogna guardare a Gesù. Gesù iniziò la sua esistenza terrena nascendo in una grotta, nella più assoluta povertà. Lui, il Re del cielo e della terra, non sceglie una reggia per venire al mondo, sceglie una condizione umile, semplice. Gli basta solo una mangiatoia dove posare il capo e qualche fascia per essere avvolto.

Subito dopo vive da esule, da perseguitato. Fugge in Egitto per salvare la sua vita, vittima del terrore di Erode e della sua superbia. Visse nel nascondimento, nel silenzio, nella sottomissione, fino a trent’anni, quando diede inizio alla predicazione della buona novella. Lui stesso disse di sé che non aveva dove posare il capo, né una dimora stabile, o un luogo sicuro. Fu crocifisso, dopo essere stato spogliato. Morì nudo, solo, gli faceva compagnia la Madre sua, uno dei suoi discepoli e qualche altra persona che lo avevano seguito in quest’ora suprema. Fu sepolto in fretta, in un sepolcro prestato. Tutta la sua vita pubblica egli l’affidò, per quanto riguardava il suo sostentamento, alla provvidenza del Padre. Il domani per Gesù era sempre posto nelle mani del Padre. La povertà evangelica è una scelta di fede.

È la scelta della libertà non solo dalle cose, ma anche dai propri pensieri. Spirito, mente, cuore, volontà, desideri, sentimenti sono dati al Cielo, perché in essi possa solo regnare il pensiero, la volontà, il cuore, la mente di Dio Padre. Se la nostra vita deve essere a totale disposizione del Signore perché si manifesti attraverso di essa la sua volontà, si compia in essa il suo mistero di salvezza a favore di tutti gli uomini, è necessario una disponibilità totale, una consegna piena a Lui. Per essere poveri in spirito è necessario che Dio sia al timone della nostra vita e solo Lui.

Sia Lui a dirigere la barca della nostra esistenza terrena dove vuole, senza che noi possiamo interferire neanche nelle più piccole cose; è necessario che lo Spirito del Signore prenda in mano tutto di noi e ci guidi, ci conduca, ci muova sui sentieri, sulle vie che Dio ha scelto per noi per realizzare ciò che Lui vuole. Questo esige lo svuotamento di noi; domanda quell’annichilimento di noi stessi che si fa consegna piena a Dio. La povertà in spirito diviene così morte quotidiana a noi stessi, perché Cristo viva in noi, la sua volontà si compia, il suo progetto si realizzi, i suoi pensieri vengano pensati e solo il suo amore venga donato ed offerto al mondo. Un grande domenicano irlandese, Padre McNabb, grande amico di Gilbert Chesterton e amico dei poveri di Londra che aiutò durante tutto il suo ministero, sottolineò sempre l’importanza della povertà spirituale, e sapeva che era possibile per un uomo povero essere più avaro e più avido di un uomo ricco. Ma aveva anche realizzato i pericoli della ricchezza, la difficoltà di raggiungere la povertà spirituale, quando si è circondati dall’ eccesso, e aveva visto l’abbraccio della povertà come un mezzo per sconfiggere il materialismo crescente e la miseria morale del mondo. Padre McNabb amava citare il brano evangelico del giovane ricco, sottolineando che solo una volta nel Vangelo si parla di qualcuno che avesse incontrato Gesù e se ne fosse andato via triste. Questo fu il giovane che aveva tanta voglia di avere la vita eterna, ma anche molti beni. Non sapeva che per lui la strada verso la gioia di vita era quello di accettare la sfida di Gesù: Va, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo. Vieni e seguimi. Egli non seppe rendersi conto che quell’invito a seguire i poveri, i poveri di Galilea, i poveri del Golgota, era stato un invito a percorrere lo stretto sentiero della gioia perfetta.

Lui non poteva lasciare le cose che prima o poi avrebbe comunque lasciato. Si aggrappò alle sue grandi ricchezze sulla terra piuttosto che cercare un tesoro nel cielo, e lasciò la gioia della povertà volontaria e la sequela di Gesù per la tristezza della ricchezza e il servizio di Mammona. “Tutta la felicità materiale del mondo è basata sulla sofferenza di qualcuno. (La felicità interiore è diversa. E’ la felicità del sacrificio.) Soltanto pochi possono essere felici di questa felicità. I molti dovranno soffrire privazioni, dolore. (…) Dio ci ha dato i Comandamenti. Ecco la vera libertà delle libertà, senza la quale la nostra vita non avrebbe scopo. La speranza consiste nella certezza che Dio non verrà meno ai suoi comandi”.

Questa era la strada indicata da padre Vincent: un combattimento spirituale, una lotta antica cominciata all’inizio della storia umana. Nei duemila anni della storia della Chiesa, il combattimento tra le forze del bene e quelle del male si è svolto con intensità variabile, nella Chiesa, in generale, e negli individui. I Santi, in particolare, hanno sperimentato questo scontro più pienamente, con persecuzioni, sofferenze, difficoltà di vario genere. L’antidoto a tutte le tentazioni del Maligno – ricchezza, successo, potere – per McNabb era la povertà di spirito, che significa distacco da tutto quello che ci allontana da Dio, e soprattutto l’umiltà, che intenerisce il cuore di Dio e lo fa guardare giù verso i poveri e gli umili.

Paolo Gulisano

http://www.zenit.org/it/articles/p-come-poveri

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