Irlanda: A cento anni dalla rivolta di Pasqua. Intervista a Paolo Gulisano

Per l'onore d'IrlandaIl 2016 corrente vede cadere il centenario della grande rivolta di Pasqua dell’Irlanda contro il Regno Unito e l’inizio del processo che avrebbe portato all’indipendenza dell’isola ma anche allo scoppio di una cruenta guerra civile e al sorgere dell’annosa, e ancora irrisolta, questione nord-irlandese. Domus Europa ne parla con Paolo Gulisano, autore del successo editoriale Per l’onore d’Irlanda. L’insurrezione irlandese del 1916 (Edizioni Il Cerchio, 2016).

A cura di Nicolò Dal Grande.

Il 1916 rappresenta una data fondamentale per la storia irlandese: la rivolta di Pasqua e l’inizio della lotta che avrebbe portato l’isola di San Patrizio alla tanto agognata indipendenza. A cento anni di distanza, che significato incarna per gli irlandesi questo evento?

“Questo anno 2016 in cui ricorre il Centenario della Rivolta di Pasqua con cui la Nazione proclamò l’Indipendenza in una insurrezione che venne schiacciata nel sangue dall’Esercito Britannico, sembra costituire un’importante opportunità per gli irlandesi per riflettere non solo sulla propria storia, gloriosa e tragica, ma anche sul proprio destino, che resta in bilico tra il diventare una piccola, simpatica provincia periferica di un mondo globalizzato, e l’unica alternativa vera, che consiste nel  ritrovare la propria anima.

Se si opta per la prima soluzione, si segue ad esempio il Presidente della Repubblica Higgins che rievocando gli eventi di cento anni fa in un discorso alla Nazione ha detto che l’eredità di quella lotta per la libertà oggi consiste nell’impegno contro la povertà globale, la fame e i cambiamenti climatici, e per la parità di diritti e di opportunità per tutti. Un evidente richiamo alle questioni che hanno recentemente vivacizzato la scena politica irlandese, e avevano visto lo stesso Higgins manifestare senza troppe remore il proprio appoggio alla causa del same-sex marriage.

Il discorso di Higgins è compatibile con una certa Irlanda di oggi, che sembra avviata a diventare una delle “società liquide” della post modernità, con una cultura dominante alla rincorsa di ogni possibile espressione dell’ideologicamente corretto. C’è da chiedersi tuttavia se era per una società di questo tipo che combatterono gli eroi del ’16.”

 Alla rivolta di Pasqua seguì successivamente lo scoppio della Guerra Anglo-Irlandese che portò sì all’autonomia e, successivamente, all’indipendenza dell’Irlanda, ma costò la rinuncia alle contee dell’Ulster e lo scoppio di una Guerra Civile. Alla luce della storia, che giudizio si può dare all’evento in questione?

 “La Guerra Anglo-Irlandese si concluse nel 1921 con un Trattato che spaccò il Paese. Michael Collins e gli altri esponenti del movimento indipendentista ritennero – con un certo pragmatismo politico- che fosse tempo di porre fine alle sofferenze del popolo irlandese e di portare a casa un obiettivo concreto: la nascita del Free State,lo Stato Libero di Irlanda. A costo di rinunciare alle Sei Contee che andarono a formare quella artificiosa entità amministrativa definita “Northern Ireland” che doveva rimanere orgogliosamente parte del Regno Unito, l’ultimo avamposto dell’Impero Britannico. Ciò significò decenni di aspre sofferenze per la popolazione cattolica e repubblicana del Nord, significò apartheid, discriminazioni, ingiustizie, violenze. Forse gli esponenti politici che vollero il Trattato del 1921 non erano consapevoli delle conseguenze di questa scelta.  D’altra parte continuare la lotta, come voleva de Valera e l’ala più intransigente dello Sinn Fein, non avrebbe voluto dire necessariamente conseguire una vittoria. Fu una scelta comunque drammatica e lacerante. “

 La Guerra Civile Irlandese costò la vita a centinaia di patrioti. Al giorno d’oggi esiste ancora una qualche forma di tensione interna al popolo irlandese o si può parlare di completa pacificazione?

 “In questo Paese c’è un passato che sembra non passare, ferite profonde mai del tutto rimarginate. Quest’anno alla vigilia di san Patrizio, è stata vandalizzata nel cimitero dublinese di Goldenbridge la tomba di William Cosgrave, il primo leader del Free State. Cosgrave, uomo vicino a Michael Collins, era stato uno dei sostenitori del Trattato con gli inglesi, e uno dei protagonisti della Guerra Civile che lacerò il Paese. Cosgrave fu il sostenitore di una linea dura nei confronti di chi non accettava il Trattato, varando un decreto che prevedeva la pena capitale per chiunque fosse stato trovato in possesso di armi. Quest’atto portò alla condanna a morte di 77 persone, tra cui anche il segretario della delegazione irlandese che aveva stipulato il Trattato. Lo scempio della sua tomba evidentemente fa capire che, dopo cento anni, c’è ancora chi non perdona a Cosgrave le scelte del tempo. Tuttavia, a parte questi episodi, si può dire che una certa eredità dello scontro tra fautori del trattato e anti-trattato esista ancora nella politica irlandese, con il Fine Gael, il partito che ha governato negli ultimi anni spingendo sull’acceleratore della “modernizzazione” e della laicizzazione, come erede dei Pro-Treaty, e il Fianna Fail come erede morale di de Valera.”

 Ciò che colpisce della rivolta di Pasqua del 1916 è il fatto che a teorizzarla e ad attuarlanon furono militari o politici, ma l’élite letteraria irlandese dell’epoca.  Questo porrebbe in evidenza una presunta impreparazione irlandese sul piano della gestione politica del paese, che sarebbe tra le cause della Guerra civile e della rinuncia all’Ulster. Quanto di vero vi è in questa visione e che ripercussione avrebbe avuto sulla formazione delle seguenti generazioni di politici?

 “La Prima Guerra Mondiale segnò un momento fondamentale nella storia della politica irlandese. La scelta del Partito Parlamentarista – politicamente moderato- di appoggiare la causa della Guerra ve di invitare i giovani irlandesi ad arruolarsi nell’esercito britannico, con le conseguenti migliaia di morti, rappresentò il suicidio politico di questa storica formazione che per lungo tempo aveva inviato a Londra i soli rappresentanti irlandesi. Venne il tempo di una nuova, giovane classe dirigente, uscita dalle barricate del ’16, dove si era immolata quell’elite intellettuale che aveva operato per la cosiddetta rinascita celtica. Certamente questo aspetto può spiegare le difficoltà seguite agli anni della lotta per l’indipendenza.”

La pace con l’Inghilterra costituì il sorgere della drammatica questione “nord-irlandese”; alla base di tutto, oltre alla rinuncia irlandese al controllo delle contee nord-orientali dell’isola, vi fu un’oscena persecuzione ai danni della componente cattolica e filo repubblicana dell’Ulster, che portò alle ben note vicende legate all’I.R.A.. Al di là dell’apparente pacificazione odierna, qual è la situazione al giorno d’oggi?

“La divisione permane, e le tensioni tra le due comunità dell’Ulster permangono. Costantemente vengono riscontrati episodi di aggressioni settarie contro la popolazione cattolica. Il fuoco brucia ancora sotto la brace. Al governo locale sembra ancora reggere la “strana alleanza” tra gli opposti estremismi, lo Sinn Fein di Gerry Adams e Martin Mc Guinness, e gli Unionisti più duri del partito fondato da Ian Paisley, ma questa coabitazione frutto della necessità di dare alle proprie contee delle migliori opportunità economiche si presenta molto fragile.

Nella Repubblica, invece, per quanto sembri un paradosso, a cento anni dalla lotta per l’indipendenza l’Irlanda attuale sembra tornata ad essere un paese colonizzato. Colonizzato da tutte le mode politiche e culturali che vengono dall’esterno, e non solo dall’Inghilterra. A fronte di tutto questo sembra essere urgente una nuova rinascita identitaria e culturale, analoga a quella che nel ’16 portò alla libertà.”

 

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