Jimmy’s Hall, la solita e brutta parodia della Fede

foto dal film JImmy's HallPer comprendere il significato dell’attacco veemente di Leonardo Boff contro Vittorio Messori, che si è preso un po’ della scena mediatica di Capodanno, con il giudizio acrimonioso del teologo della Liberazione che andava per la maggiore negli anni ’80 dello scorso secolo, in risposta all’articolo del Corriere della Sera con cui Messori- la vigilia di Natale- aveva riflettuto in modo pacato nei toni e meditato nei contenuti su alcuni aspetti dell’attuale pontificato, bisogna partire paradossalmente da un film attualmente in programmazione, che si svolge lontano dal Sudamerica di Boff così come dai Sacri Palazzi romani. Un film che ci porta lontano nel tempo e nello spazio, e precisamente nell’Irlanda degli anni ’30 rappresentata al cinema dal regista Ken Loach nel suo ultimo film, Jimmy’s Hall.

Premesso doverosamente che il sottoscritto è un grande appassionato dei film di Loach, che non ne ha perso uno, che si è commosso con La canzone di Carla, o con Il vento che accarezza l’erba, che si è divertito con La parte degli Angeli, dove la consueta critica sociale di Loach si impreziosisce dell’impagabile humor britannico, c’è da dire che la Chiesa Cattolica, come viene rappresentata nei film di Loach, e in particolare in quest’ultimo, ne esce dipinta secondo uno stereotipo manicheo e parodistico. Esattamente come Boff rappresenta Messori e il suo pensiero. Nel film di Loach la Chiesa Cattolica in Irlanda è rappresentata come bigotta, chiusa, reazionaria, refrattaria al cambiamento, connivente con il potere. Così è dipinto, a tutto tondo, il parroco di un villaggio dell’Irlanda rurale, ma il messaggio inequivocabile del film è che quel parroco rappresenta la Chiesa tutta. Lo spettatore viene indotto a pensare che la Chiesa è proprio così: inesorabilmente ostile all’amore, al piacere, al divertimento, chiusa, arcigna e repressiva, che si diverte a far soffrire il popolino semplice e buono. Questo manicheismo è tipico dei film di Loach: i ricchi sono sempre cattivi e i poveri buoni, buoni gli immigrati e cattivi i poliziotti, e così via. Un manicheismo rigido, che ha finora impedito a questo bravissimo regista di realizzare un vero, autentico capolavoro. Un limite, peraltro, che non è tanto artistico, quanto ideologico. E veniamo al punto: l’ideologia sottesa ai film di Loach è debitrice soprattutto nei confronti dello sceneggiatore, lo scozzese Paul Laverty.

Laverty era un seminarista di Glasgow, studente alla Gregoriana, che rinunciò al sacerdozio per diventare un avvocato particolarmente impegnato nella difesa dei diritti civili. Si impegnò molto anche in campo internazionale, in particolare per l’America Centrale. Da sceneggiatore prediletto di Loach, ha spesso introdotto elementi critici nei confronti della Chiesa nella quale è cresciuto, fino ad arrivare all’ostilità aperta di questo film, che pure ha trovato- in campo cattolico italiano- recensioni positive. E questo perché il messaggio implicito del film è chiaro: quella Chiesa (chiusa, sessuofoba, autoreferenziale si direbbe oggi) era sbagliata, e va sostituita con un nuovo Cristianesimo aperto, tollerante, misericordioso. Il messaggio non ammette dubbi: questa sarebbe la Chiesa auspicabile. Non è un caso che all’uscita del film in Gran Bretagna la stampa abbia chiesto a Ken Loach se il pontificato di papa Francesco possa finalmente realizzare il sogno di questo tipo di Chiesa. Il regista ha peraltro gelato le aspettative dei suoi interlocutori, esprimendo delle perplessità personali su Bergoglio. Non essendo Messori, nessuno gli è saltato in testa. Evidentemente le critiche al pontefice sono lecite quando provengono da posizioni più radicali delle sue. Un radicalismo, quello di Loach e Laverty, che – come dicevamo- passa attraverso la denigrazione della Chiesa così come è esistita e ha operato per secoli, aspettando un nuovo Regno di Dio (che nel pensiero progressista deve soppiantare la Chiesa-istituzione) di giustizia e amore.

Tutto molto bello, ma anche tutto molto falso, perché la realtà non è quella descritta da Loach e Laverty. Quella Chiesa irlandese era tanto orrenda che il popolo l’amava, vi si riconosceva, ne riceveva quello che aveva di più caro e di cui più sentiva la necessità: la presenza di Cristo. Una Chiesa che affascinava migliaia di giovani, che rispondevano generosamente a questa vocazione. Una Chiesa fatta di preti molti dei quali certamente non all’altezza del loro ministero, magari un po’ ottusi, mischiati ad autentici santi. La Chiesa, con buona pace di tutti i radicalismi utopici, è fatta di gente così. Lo sapeva bene quel grande scrittore inglese convertito (ah, questi convertiti!) che era Graham Green, che mostrò nei suoi romanzi come la gloria di Dio si manifesti anche attraverso preti ubriaconi. Un modello di Cristianesimo, quello irlandese, che andò in crisi- anzi, che è andato in tilt- solo nella post modernità, nel confronto impari con l’opulenza un po’ cialtrona degli anni del boom economico, e del lassismo morale degli anni confusi del post-concilio, che raggiunse nel clero il punto più basso con la piaga della pedofilia, combattuta con determinazione da quel Ratzinger tanto detestato da Paul Laverty.

Questo tipo di manicheismo che non rappresenta la realtà, che si avvale di caricature, di stereotipi, oltre a impedire di fare un buon film, rischia di inquinare la visione che abbiamo del Cristianesimo e della Chiesa. Fa si che se ne ignori la storia e il contributo del Cristianesimo alla nostra civiltà. Porta al moralismo di chi tuona contro il consumismo e dimentica di raccontare tutta la bellezza dell’incontro con Cristo, o che ammonisce un sacerdote nel giorno della sua ordinazione a non credersi un satrapo rivestito di potere. Come se un ragazzo che diventa prete oggi non sapesse che non lo attendono onori e privilegi, ma un lungo martirio nascosto e quotidiano. Lontano da questo mefitico manicheismo, tentazione del progressismo cattolico, ma non solo, c’è il compito difficile ma affascinante di testimoniare e portare Cristo a un mondo che non ne vuole sapere e di conseguenza produce solo ingiustizia, tristezza, disperazione.

Paolo Gulisano

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-jimmys-hall-la-solita-e-bruttaparodia-della-fede-11396.htm

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