Là dove non c’è tenebra – Ricognizioni

Davvero sorprendente questo libro di Paolo Gulisano. Là dove non c’è tenebra (Ares, 202 pagine, 14 euro) è la storia di 23 storie di amicizia tra scrittori. Da Melville e Hawthorne a Chesterton e Belloc, da Gide e Mauriac a Hemingway e Fitzgerald, da Guareschi e Manzoni a Tolkien e Lewis, e tanti altri. Un libro curioso, che fa venir voglia di leggere o rileggere o di scoprire testi e autori. Il titolo è tratto da un brano di 1984 di George Orwell, là dove un personaggio pronuncia queste parole: “Ci ritroveremo là dove non c’è tenebra…”, il più bell’augurio che ci si possa fare tra amici. Per gentile concessione dell’Editore pubblichiamo l’introduzione

L’amicizia è una sorprendente scoperta: quella che non siamo soli, che c’è qualcuno che ha gusti, interessi, passioni, molto simili ai nostri. Nella Genesi è scritto che non è bene che l’uomo sia solo. Questa espressione è ricondotta alla figura dell’amore umano, quello tra un uomo e una donna, ma quella solitudine che per la Bibbia non è bene può trovare conforto e soluzione anche nell’amicizia, un rapporto assolutamente gratuito.

Spesso si pensa che l’atteggiamento tipico di coloro che si amano sia il guardarsi negli occhi; in realtà sia l’amore che l’amicizia comportano il guardare nella stessa direzione. Nella sua saggezza, Cicerone, nel dialogo De Amicitia scriveva che l’amicizia è superiore a tutte le cose perché dona speranza e non fa piegare l’uomo dinnanzi al destino. Guardare un amico – suggeriva il grande retore romano – è come rimirare se stessi e anche la morte sembra piacevole, perché accompagnata dal ricordo. La società si basa sull’amicizia, senza la quale neanche le case si ergerebbero. Lo scrittore irlandese Clive Staples Lewis, l’autore delle Cronache di Narnia e delle Lettere di Berlicche ricorda in un saggio come nasca un’amicizia: «Quando due o più compagni scoprono di avere un’idea, un interesse o anche soltanto un gusto, che gli altri non condividono e che, fino a quel momento, ciascuno di loro considerava un suo esclusivo tesoro (o fardello). La frase con cui di solito comincia un’amicizia è qualcosa di questo genere: “Come? Anche tu? Credevo di essere l’unico…”».

Vedere quello che altri non vedono: ecco la straordinaria condivisione o complicità che può unire due persone nell’amicizia. Molto di più di una semplice sintonia, di un’identità di vedute che può fare di due persone dei colleghi o dei soci, quello che accade nell’àmbito di questo incontro è una sorta di piccolo miracolo, in grado di determinare cambiamenti, di liberare la gioia l’uno nell’altro e di far fiorire la vita.

«Ma fintanto che queste persone dotate di una speciale percettività morivano senza aver trovato un’anima gemella, tutto questo – temo – rimaneva senza frutto, e da ciò non scaturiva né arte, né sport, né religione. Quando invece due persone di questo tipo si scoprono a vicenda, quando tra immense difficoltà o, all’opposto, con una velocità ellittica che a noi pare sorprendente, essi condividono la stessa visione, è allora che nasce l’amicizia».

Cosa succede quando questo tipo di relazione nasce tra quella particolare categoria di persone che sono gli scrittori? Gli effetti sono spesso mirabolanti. Come vedremo, intere carriere letterarie sono nate grazie a un rapporto di amicizia. Autori si sono influenzati reciprocamente, altri si sono aiutati, spesso hanno condiviso i propri destini, in alcuni casi anche tragici. Amicizie maschili, amicizie femminili, e anche amicizie tra un uomo e donna, che a parere di molti sono impossibili, perché inevitabilmente o quasi subentrano evoluzioni di tipo affettivo.

Amicizie che non si chiudono in un rapporto privilegiato, ma che si aprono a ulteriori presenze. «In tre si è in compagnia», scrive John Ronald Tolkien nel Signore degli Anelli. Quando a due amici se ne aggiunge un terzo, si è già formata una compagnia, e quindi un gruppo, un sodalizio, una associazione, e gli sviluppi possono arrivare a esiti impensabili. A volte è necessario un catalizzatore, una figura comune, qualcuno in grado di determinare incontri, capace di costruire relazioni.

Sono molto grato all’amico Alessandro Rivali per avermi fatto conoscere la figura di Max Perkins. Maxwell Perkins era un newyorkese nato alla fine dell’800, un uomo dai modi raffinati, estremamente elegante e garbato, che rese la professione dell’editor una vera e propria forma artistica. Fino alla sua comparsa sulla scena editoriale, l’editor era poco più che un correttore di ortografia. Perkins invece divenne famoso per il fatto di saper dire ad autori che poi avrebbero avuto il Nobel per la letteratura cosa dovevano scrivere e cosa dovevano tagliare o evitare nei loro lavori. Un professionista che interveniva nell’idea, nella costruzione, nella struttura e nella stesura di un testo.

In più, riusciva a cogliere i talenti, a valorizzarli, e a diventare amico degli autori, aiutandoli persino nella loro vita personale. Un maestro e un amico. Attraverso la figura di Perkins, che è raccontata nella biografia di Andrew Berg, vediamo come un rapporto professionale possa diventare un rapporto di amicizia, tra personaggi quasi sempre complicati e difficili come sono gli scrittori. 

Si scopre come la storia della Letteratura potrebbe essere riscritta alla luce delle relazioni personali. Le storie tra artisti della penna – e poi della macchina da scrivere e del computer – che vogliamo raccontare in queste pagine mostrano tutto il fascino di quel peculiare rapporto umano che è l’amicizia. Sempre Cicerone nel suo dialogo sosteneva fa che nell’amicizia non ci dev’essere nulla di finto, è necessaria la schiettezza, e che tra amici bisogna avere un modo di fare dolce e indulgente. Per i Romani erano considerazioni sorprendenti: per loro, l’amicizia era anzitutto la creazione di legami personali a scopo di sostegno politico. Il dialogo muove alla ricerca dei fondamenti etici della società nel rapporto che lega fra loro le volontà degli amici.

Qualche anno dopo la morte di Cicerone, in una zona remota dell’Impero chiamata Giudea, venne un uomo che insegnò cos’è l’amicizia, un bene per il quale si può anche dare la vita. «Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici», disse. Non per la Patria, non per lo sposo o la sposa, ma per i propri amici.

Questo libro vuole dunque andare alla scoperta di questo straordinario sentimento, di questa fondamentale relazione, per come fu vissuta da diversi scrittori, amici e amiche tra loro. Un’esplorazione che si limita volutamente agli ultimi due secoli, alla modernità, un tempo nel quale l’amicizia è diventata sempre più problematica, e non solo in campo artistico letterario.

Scopriremo amicizie che hanno visto condivisioni profonde e altre più superficiali, amicizie finite e qualcuna mancata. 

L’antico filosofo Empedocle diceva che l’amicizia compone e disgrega tutte le cose del mondo. Un compito che è anche della scrittura. Andiamo a vedere se è vero.

Paolo Gulisano

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