Natale clandestino

Premessa. Nel mio romanzo Il prodigio di Lisbona, uno dei personaggi è il giornalista scozzese Peter Smyth. Le vicende del romanzo avvengono nel 1967, quando la squadra di calcio del Celtic si avvia a diventare campione d’Europa nella finale di Lisbona. Nel romanzo ci sono tuttavia dei flash back alla Seconda Guerra Mondiale, quando Peter Smyth era un giovane sottufficiale della Royal Air Force che viene abbattuto in Italia e fatto prigioniero. Per quasi due anni Peter è nel campo di prigionia di Fossoli, presso Carpi. L’8 settembre del ’43 riesce a fuggire, ma viene ferito dai tedeschi nelle campagne presso Correggio. Un giovane studente di Medicina, Antonio Azzoni, lo trova, lo soccorre e lo cura. Peter resta poi alcuni mesi nascosto nella casa degli Azzoni. Il racconto che segue- ambientato al momento del Natale che Peter trascorse in casa Azzoni, il Natale del ’43- è dunque un piccolissimo spin off del romanzo, o meglio, semplicemente un approfondimento da vicino di quanto viene accennato nella storia. Buona lettura e buon Natale.
Paolo Gulisano

Era la Vigilia di Natale. Aveva fatto buio presto. Peter guardava fuori dalla finestrella della mansarda di casa Azzoni, il suo rifugio segreto. La luce era spenta, e ciò consentì a Peter di godere della vista della campagna emiliana coperta di neve. Il giovane scozzese sospirò. Certo, godeva del calore, dell’affetto, del sostegno della famiglia Azzoni, ma la nostalgia di casa era forte. Intorno imperversava la guerra, che continuava più feroce che mai. Avrebbe avuto modo di trascorrere un Natale come non aveva avuti da tre anni in là. Il peggiore era stato l’anno precedente, passato in campo di concentramento. Peter cercò di scacciare il triste ricordo. Ora era lì, con attorno a sé le premure della signora Azzoni, e il profumo dei manicaretti che saliva dalla cucina gli stuzzicò piacevolmente le narici e gli ricordò che lo aspettava l’indomani uno squisito pranzo. C’erano le cure di Antonio e di suo padre, il farmacista del paese, e infine le attenzioni affettuose di Maria Grazia, la sorella di Antonio, con la quale trascorreva tante ore a chiacchierare della sua Scozia.


Tuttavia Peter cominciava a pensare al proprio futuro. Tra pochi giorni Antonio gli avrebbe tolto il gesso, e quindi occorreva pensare a cosa fare una volta ristabilito. La sua presenza nella casa degli Azzoni era un pericolo. I tedeschi praticavano controlli sempre più stretti nelle strade e nelle case, specialmente da quando quella fetta di terra emiliana era diventata teatro di aspri combattimenti con le truppe partigiane. Più volte la farmacia del dottor Azzoni era stata visitata dai partigiani che richiedevano – o sequestravano- bende e farmaci per i loro compagni feriti. Gli Azzoni erano tra l’incudine nazifascista e il martello- anzi, la falce e martello- dei comunisti. La presenza di Peter era un problema, che era soprattutto il giovane sottoufficiale a porsi.
La più felice della sua presenza era invece Maria Grazia. La ragazza, nonostante le preoccupazioni della madre, saliva ogni pomeriggio dopo la scuola nella mansarda dove viveva nascosto Peter. Le loro conversazioni si svolgevano in inglese e in italiano. Maria Grazia gli leggeva dei libri, lui le insegnava le canzoni scozzesi, e le preferite della ragazza erano quelle giacobite.
Uno degli aspetti di Peter che aveva stupito i suoi ospiti era stato il fatto che fosse cattolico, esattamente come loro, e non protestante, come pensavano che fossero tutti gli inglesi.
“In Scozia ci sono molti cattolici- spiegò loro – specialmente nella mia città, Glasgow. Molti sono di origine irlandese, poveri immigrati arrivati nel Paese a cercare una vita migliore, e altri sono originari delle Highlands, le terre del nord della Scozia”. “Le terre dei Giacobiti” sospirò Maria Grazia con gli occhi verdi che sognavano quelle terre leggendarie.
Peter spiegò che anche lui aveva parte delle sue radici nelle Highlands. Un suo bisnonno, che era di Edimburgo, era stato mandato a metà ottocento come soldato a reprimere le proteste dei contadini nelle Highlands. Qui si era ribellato alle ingiustizie che vedeva, aveva lasciato l’esercito e aveva sposato una ragazza, figlia di un ribelle, che aveva conquistato il suo cuore. “Il mio bisnonno era protestante, mentre la ragazza era cattolica, e questa divenne per amore anche la fede del mio avo”.
“Come si chiamava la ragazza?”
“Fiona Mac Gillivray. Apparteneva ad un fiero clan che si era battuto con valore per la causa giacobita, e un esponente del clan, un eroe indomito, si era guadagnato una ballata”.
Peter riuscì a stupire perfino il prete che veniva periodicamente a celebrare per Peter in casa Azzoni. Messe clandestine come quelle che si erano celebrate per tanto tempo in Gran Bretagna ai tempi delle Leggi Penali. Don Umberto ammise di conoscere poco della storia della Chiesa in Gran Bretagna e del suo lungo martirio, anche se qualche anno prima, quando c’era stata la beatificazione di Tommaso Moro, aveva letto con commozione della sua vicenda. Peter lo sorprese spiegandogli che uno dei più bei canti di Natale, Adeste Fideles, era stato scritto da un sacerdote britannico. Si diceva, ai tempi delle rivolte giacobite, che il Re di cui si parla nel canto, che si deve andare ad adorare, fosse una metafora per indicare il “Re al di là del mare”, il Bonnie Prince Charlie.
Don Umberto rimase un po’ perplesso, ma pensò che quel giovane poteva anche avere ragione.
Peter stava ancora guardando fuori dalla finestra e sorrideva al pensiero delle sue chiacchierate sulla storia del suo paese, in un italiano che stava facendosi sempre più sicuro, quando udì la scala di legno che portava in mansarda scricchiolare. Si voltò e vide che era Maria Grazia. Avanzava nella penombra con in mano una candela.
“Ciao Peter. Sono venuta ad avvisarti che tra poco si cena. Verrà su mio padre ad aiutarti a scendere”.
“Grazie. Speriamo solo che non ci siano visite improvvise.”
“Vedrai che andrà tutto bene. Non si può stare soli la Vigilia di Natale”.
“No, penso di no”.
“Poi però ti lasceremo solo quando andremo alla Messa di mezzanotte” disse con tono triste.
“Già, questo spiace molto anche a me”.
“Domani don Umberto farà una capatina per celebrare qui per te. Canteremo Adeste Fideles”.
Peter sorrise. “Naturalmente”.
Maria Grazia restò in silenzio, poi mostrò la borsa che aveva portato in mansarda con sé.
“Ho qui il tuo regalo…vorrei dartelo subito” disse con gli occhi che le scintillavano.
“Un regalo di Natale…per me? Ma non dovevi! Io…io non posso nemmeno ricambiare!”
La ragazza rise. “Ovvio che non puoi! Non ti ci vedo ad andare in città con il rozzo gesso che ti ha fatto mio fratello ed entrare nei negozi e chiedere- con accento inglese- un presente per una signorina!”
“Io non ho un accento inglese” disse Peter fingendo di arrabbiarsi.
“Hai ragione: scozzese. Anzi: il magnifico e terribile accento di Glasgow”.
“Una vera terribile bellezza”.
Entrambi scoppiarono a ridere.
“Allora, lo vuoi vedere il tuo regalo?”
Peter prese il pacchetto di carta, lo aprì, sciogliendo il fiocco dorato, e trovò un libro. Lesse il titolo: Il fanciullo rapito, di Robert Louis Stevenson. Ristette perplesso, poi esclamò: “Kidnapped!” Era il titolo originale.
“Lo conosci?”chiese Maria Grazia
“E’ una delle più belle opere di Stevenson. Sarà fantastico leggerlo in italiano!”
Poi Peter tacque, commosso, con il libro tra le mani. Non sapeva che fare. O meglio: tanti pensieri gli si affollavano confusi nella mente e nel cuore. Stava per dire qualcosa quando si udì la scala di legno scricchiolare di nuovo. Era il dottor Azzoni che saliva per aiutare Peter a venire a prendere posto a tavola.
Merry Christmas sussurrò in fretta Maria Grazia, baciando sulla guancia il ragazzo scozzese.
Buon Natale balbettò lui in italiano.

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