Vaccino flop, il guru del governo evoca scenari da incubo

E’ passato ormai un mese da quando le prime dosi dei vaccini Pfizer fecero il loro ingresso nel nostro Paese attraverso l’Operazione Eos, il nome della divinità pagana che rappresenta l’alba. E doveva segnare proprio l’alba di una nuova era questo arrivo con convogli militari, atti a proteggere le preziose dosi da una eventuale minaccia di sedicenti gruppi terroristici antivaccinisti. 

Dopo quindi il primo mese com’è la situazione? Siamo in una situazione che potremmo definire ironicamente No Vax. Nel senso che i vaccini proprio non ci sono. La Pfeizer si sta dimostrando inadempiente rispetto agli impegni contrattuali e non sta consegnando le dosi pattuite.  Una inadempienza  che mostra una serie di falle organizzative di non poco conto, e che fa pensare che l’azienda non fosse ancora pronta per assolvere gli impegni presi. E fa pensare anche che il celebre Vaccination Day del 27 dicembre, con il lancio a livello europeo del farmaco salvifico, in corrispondenza proprio del Natale cristiano, sostituito dal prodotto da qualcuno definito messianicamente “luce e speranza”, fosse una grande operazione propagandistica, una anticipazione anche troppo prematura.  

Oggi molte Regioni sono costrette a sospendere la campagna di vaccinazioni già iniziata sotto la supervisione del plenipotenziario Arcuri proprio per la totale mancanza delle dosi.  Ciò sta inducendo frustrazione diffusa in una popolazione già duramente provata psicologicamente e già preparata ad accogliere l’arrivo salvifico del rimedio farmacologico, presentato dalla propaganda come l’unico rimedio possibile per uscire dal tunnel dell’epidemia e dei vari e ripetuti lockdown.

Oggi, chi ha confidato speranzoso nell’arrivo del vaccino, si trova a vivere in un clima di ancora maggiore incertezza, ansia, attesa. A questo punto l’arrivo, l’aspettativa del prodotto si fa disperatamente spasmodica. Qualcuno insinua che forse tutto questo è stato addirittura voluto e provocato ad arte, proprio per raggiungere le altissime percentuali di vaccinati che le istituzioni europee si aspettano. 

Da questo punto di vista, sono molto significative le posizioni del professor Ricciardi, consulente speciale del Ministro Speranza, rese  pubbliche nei giorni scorsi  attraverso il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana.  L’esordio dell’articolo di Ricciardi è profondamente indicativo della posizione governativa.  «Molti non amano paragonare la lotta che tutto il mondo sta conducendo contro il nuovo coronavirus a una guerra mondiale» scrive Ricciardi. «Eppure, anche se l’immagine è forte e per molti versi disturbante, credo che sia solo rifacendoci agli schemi organizzativi e mentali di una guerra che potremo veramente sconfiggere questo nemico invisibile». In effetti, proprio in corrispondenza dell’uscita su Avvenire di questo articolo, la Bussola sottolineava l’inopportunità di un  linguaggio bellico e militarista, il linguaggio retorico delle “trincee” della “prima linea”, e si ricordava che se proprio si voleva utilizzare un paragone bellico, davanti al dato che vede l’Italia con il terzo peggior tasso di mortalità al mondo, si doveva evocare il ricordo di Caporetto.

Ricciardi non sembra voler fare una riflessione epidemiologica sulla situazione italiana. Preferisce confrontare il numero attuale dei morti (senza spiegarne le cause) alla seconda guerra mondiale. Poi fa una divagazione chiamando in causa gli Stati Uniti, approfittando dell’occasione per attaccare il governo Trump, responsabile a suo avviso dei tanti morti americani. Con The Donald, Ricciardi aveva ancora qualche conto da regolare, visto che nei mesi scorsi lo aveva già attaccato, suscitando le rimostranze diplomatiche di Washington.

Ora, dopo il cambio di inquilino alla Casa Bianca, per il consulente del Ministero si è invece sulla buona strada. «Non è un caso – scrive – che la nuova amministrazione Usa finalmente abbia messo l’obiettivo della vaccinazione di massa al primo posto, proponendosi di vaccinare 100 milioni di americani nei primi 100 giorni». Un milione di vaccinati al giorno. Un obiettivo piuttosto ambizioso, ma per Biden e Ricciardi raggiungibile.

E se è possibile negli States perché non qui, sembra chiedersi il professore di Igiene? E allora ecco descritta la strategia da mettere in atto nel conflitto. Secondo Ricciardi siamo come nel 1941. Quindi deve ancora venire El Alamein, la grande battaglia combattuta e persa dall’Italia fascista soprattutto per mancanza di rifornimenti. E qui la Pfeizer sta dando una mano – come stiamo vedendo – alla rievocazione storica. Ma poi arriverà il momento della riscossa. Come? Con una imponente controffensiva. «Solo un esercito ben organizzato» può vincere. Con che armi?  «Oggi per noi la sfida è limitare la circolazione del virus, bloccare le nuove varianti, più contagiose, e fare una vaccinazione di massa, quanto prima e nel modo migliore». 

Queste sono le grandi manovre.  Uscendo dalla metafora in mimetica, da un punto di vista medico si può notare subito in questa visione una importante assenza: non si parla di cure, di potenziamento delle terapie e dell’assistenza. Ancora una volta, il virus resta qualcosa contro il quale non ci sono cure. «Limitare la circolazione del virus» nel linguaggio di Ricciardi significa nuovi e più severi lockdown. 

E poi c’è la vaccinazione di massa, che è partita bene ma non è ancora sufficiente. Prescindendo dalla disponibilità del vaccino (che nel linguaggio metaforico militaresco sarebbe come prescindere dalla disponibilità di munizioni) Ricciardi sostiene che bisogna fare almeno 250.000 persone al giorno.  E anche qui sorge una domanda: ammesso di avere le munizioni, abbiamo i soldati? Come si fa a fare 250.000 vaccinazioni al giorno? Ricciardi ostenta l’ottimismo della volontà: «La vaccinazione di massa rappresenta un evento senza precedenti che comporterà un impegno straordinario da parte di tutti». Si potrebbe dire che per prima cosa ciò dovrebbe comportare una organizzazione logistica di altissimo livello per l’acquisizione, la conservazione, la distribuzione delle dosi ai centri individuati dalle Regioni per l’effettuazione delle vaccinazioni. Sarà così? Saranno trovate le risorse umane, sperando che non vengano sottratte ad altri settori cruciali della sanità. Fare circa due milioni di vaccinazioni alla settimana da parte di medici infermieri e strutture sanitarie non andrà a scapito del resto  dell’attività di prevenzione, diagnostica e cura?

In merito ancora alla logistica, che è un tema a nostro avviso fondamentale, Ricciardi poi illustra un piano strategico a dir poco problematico.  Ammesso di avere i vaccini, ammesso di avere medici e infermieri per farli, la domanda successiva è: dove li facciamo? Negli ospedali già abbastanza affollati? Secondo quello che Ricciardi scrive sul quotidiano dei Vescovi, «i luoghi maggiormente adatti a vaccinare grandi numeri di persone sono rappresentati dai palazzi dello sport, dai padiglioni fieristici, da hangar o altre strutture che prevedano grandi spazi di parcheggio e la possibilità di accogliere le persone al coperto e di tenerle in osservazione dopo la vaccinazione». 

Ma sì, riempiamo un Palazzetto da 3000-5000 persone. Non ci possono stare gli spettatori di una partita di basket, ma una massa di ottantenni sì. E il distanziamento? E le barriere architettoniche? Le scuole sono chiuse, i bar pure, i negozi anche, ma possiamo aprire e spalancare le porte ai padiglioni fieristici e gli hangar. Mandiamo gli anziani e i cardiopatici a Malpensa o a Fiumicino. E infine la perla: «Da considerare anche l’opzione di “drive through” vaccinali, cioè di luoghi dove si potrà essere immunizzati senza scendere dalla propria auto».  Senza scendere dall’auto? Ma la vaccinazione è un atto medico complesso.

E’ necessario prima raccogliere l’anamnesi del paziente. Andrebbe fatta in un luogo dove sia possibile assistere una persona nei venti minuti successivi alla vaccinazione in caso di evento avverso. Sono le norme base della pratica vaccinale. Qui invece ci sarebbe una specie di catena di montaggio, con persone che sporgono il braccio dal finestrino per l’inoculazione.  Uno scenario da incubo. Illustrato il quale, Ricciardi passa alla  melodrammatica chiosa finale: «Non sappiamo esattamente quanto ancora ci vorrà per vincere questa guerra, ma bisogna partire subito, e bene. Muoviamoci».  Nella direzione opposta, però.

Paolo Gulisano

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