La Chiesa faccia autocritica sulla stagione pandemista

Ora che in ambito civile sono partite le inchieste della magistratura sulla gestione pandemica, è tempo che anche la Chiesa avvii un dibattito critico su come si è fidata delle disposizioni sbagliate, della paura, della narrazione pandemista senza offrire uno spunto critico. E per la fede cieca avuta nei vaccini. 

Nell’ambito civile è iniziato un tempo – a lungo atteso e auspicato – di inchieste, di indagini, di interventi della Magistratura, al fine di far emergere la verità sulla gestione politica e sanitaria dell’epidemia da Covid-19.

Potrebbe essere l’occasione perché anche la Chiesa Cattolica operi una profonda, seria riflessione su quanto è accaduto, e come il mondo cattolico ha affrontato questo periodo, che ha avuto un impatto fortissimo sulla vita delle comunità cristiane e dei singoli fedeli.

Proviamo a riavvolgere il film di quanto è accaduto: nella prima fase dell’epidemia, quella del terrore, delle comunicazioni mediatiche schizofreniche (da una parte “andrà tutto bene” e i canti sul balcone, dall’altra la percezione indotta che si fosse davanti ad un virus apocalittico) la Chiesa si presenta attonita, non in grado di esprimere un proprio giudizio di valore, completamente appiattita sulla narrazione ufficiale. «Ci fidiamo delle autorità costituite», disse l’Arcivescovo di Milano monsignor Delpini.

La Chiesa fa ciò che fanno un po’ tutti. Si fida degli esperti che compaiono sui Media e sui Social, e impongono la loro visione. Le autorità costituite impongono i loro protocolli, la loro legge, e la Chiesa accetta senza nulla eccepire. Solo il Vescovo di Ascoli, monsignor D’Ercole, cerca di far sentire la propria voce contro i diktat del Governo, ma pochi giorni dopo le sue dichiarazioni critiche verso Conte, improvvisamente dà le sue dimissioni e lascia la Diocesi e la stessa Italia.

Dicevamo che inizialmente manca l’espressione di un giudizio su ciò che accade, ma in seguito al diffondersi del contagio e al numero elevatissimo di morti emergono due posizioni: una è quella che vede nella pandemia un castigo inviato da Madre Terra tanto a lungo offesa e maltrattata. E’ quanto dichiarano ad esempio il Vescovo di Cremona Napolioni o addirittura l’Arcivescovo di Vienna Cardinale Schonborn, uomo vicinissimo al papa. Da altra parte arriva l’interpretazione proveniente da ambito conservatore che si tratti di una punizione di Dio. Nessuno si rende conto che invece si tratta di una autentica tragedia le cui responsabilità non sono di Gaia (la Natura) o del Cielo, ma di uomini politici e delle loro strategie.

Nel frattempo, l’“ospedale da campo”, come qualcuno ha voluto ridefinire la Chiesa,  è deserto. Chiuso per profilassi igienico-sanitaria. Eppure nella storia la Sposa di Cristo non aveva mai avuto paura di virus e batteri e non aveva mai chiuso i battenti. Non solo chiese chiuse, ma anche proibizione ai sacerdoti di entrare nelle corsie degli ospedali. Decine di migliaia di persone sono morte senza ricevere i Sacramenti. Uno scenario triste, quello della Chiesa sull’attenti davanti agli ordini dello Stato, e poi in ritirata, una Chiesa accondiscendente e rispettosa di tutte le regole della burocrazia sanitaria, ma con poca fiducia nella potenza salvifica della preghiera. 

Poi, col lento ritorno alla “normalità”, mentre tutto riapriva, ecco la Chiesa continuare a reiterare protocolli ormai superati. Non c’è luogo come le parrocchie dove si vede ancora tanta gente mascherata, e ancora i celebranti praticano il rito paraliturgico dell’unzione delle mani col disinfettante, prima di distribuire l’Eucaristia. Nella “prassi pastorale” sono entrate misure igienico-sanitarie mediate dall’OMS anziché dal Vangelo, come l’obbligo della Comunione in mano (in realtà sappiamo che sono proprio le mani la maggior fonte di contagi microbici), pensate per rendere le Messe asettiche e a prova di virus, ma anche vuote della presenza del Signore. 

E tanti fedeli non sono più tornati dopo le riaperture delle chiese al pubblico. Anche questo dovrebbe far riflettere. Molte persone vivono ancora nella paura, e hanno elevato la “sicurezza” a idolo, superiore all’importanza del Culto domenicale. E’ stato accettato, senza obiettare, che per evitare che il “male” si diffondesse attraverso il contatto tra i nostri corpi bisognasse privarsi anche del contatto con il Corpo e il Sangue del Salvatore. C’è persino chi in ambito teologico aveva interpretato la sospensione dei Sacramenti e la chiusura dei luoghi di culto come una sorta di “digiuno spirituale.”

Un altro elemento importante su cui la Comunità ecclesiale dovrebbe riflettere è l’appoggio incondizionato dato ai vaccini, in particolare alla luce di quanto sta emergendo sui danni provocati da questi prodotti farmaceutici sui quali c’era stata una totale adesione, senza minimamente esercitare un dubbio critico. La Chiesa contemporanea, quanto mai “liquida” rispetto ai princìpi un tempo definiti non negoziabili, era diventata assolutamente dogmatica e intransigente rispetto a questi prodotti genici. “Extra vaccinum nulla salus”: era questa l’indicazione non tanto autorevole, ma autoritaria giunta dal Vaticano. Poco importa che ci fosse anche la grave questione etica delle cellule provenienti da feti abortiti utilizzate nella produzione dei sieri, e da questo punto di vista è stato gravissimo il “soccorso nero” giunto da esponenti cattoconservatori che giustificavano machiavellicamente l’uso dei vaccini.

Poco importa che importanti studiosi avessero messo in guardia rispetto alla sicurezza e all’efficacia di prodotti realizzati bypassando le normali procedure di autorizzazione: il vaccino è un atto di amore, disse Francesco. Punto e basta. E questa intransigenza ha causato tanta sofferenza nei fedeli, nei sacerdoti, nei religiosi e nelle religiose, che non si sottomettevano al nuovo rito. Si potrebbe scrivere un intero libro, con testimonianze dolorose di ingiustizie, di comportamenti vessatori, ma basta sfogliare l’archivio del nostro giornale negli ultimi tre anni  per vedere cosa è successo. Ma ci sono tante altre storie di ordinaria cattiveria e intolleranza compiuti da cattolici ossequienti alle regole del regime nei confronti dei fratelli non vaccinati. C’è stato qualche movimento ecclesiale dove i diktat di Conte prima e Draghi poi sono state applicate con particolare asprezza, con esclusioni da esercizi spirituali e altre misure punitive.

Quindi, in conclusione, il problema su come il mondo cattolico ha affrontato la vicenda del Covid non riguarda solo l’episcopato, la gerarchia dei pastori, ma anche la base, dove si è diffusa una visione sostanzialmente non cattolica del dramma che si stava vivendo. Dove si è persa la fede nella preghiera e nei Sacramenti, dove la paura ha prevalso sulla virtù della speranza, e dove anche quella della carità è venuta meno. In un tempo dove nella Chiesa si discute di tutto, compreso un Sinodo sulla sinodalità, è venuto il momento di riflettere a fondo su quello che è avvenuto della nostra fede di fronte all’epidemia. O meglio: di fronte all’avanzare del Grande Reset.

Paolo Gulisano

https://lanuovabq.it/it/la-chiesa-faccia-autocritica-sulla-stagione-pandemista

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