A Londra, a poche settimane dalla chiusura estiva dei lavori del Parlamento, sta per entrare nel vivo il dibattito sulla legge che potrebbe portare in Inghilterra e Galles alla legalizzazione del suicidio assistito. Inghilterra e Galles, perché come conseguenza della Devolution la Scozia e l’Irlanda del Nord legiferano autonomamente su materie come questa. A Londra e a Edimburgo dunque sono pronti per essere dibattuti due diversi disegni di legge, dove quello scozzese sarà anche più permissivo di quello inglese, e che sarà dibattuto sull’onda dell’emozione della morte della sua relatrice, la parlamentare Margo McDonald, malata di Parkinson.
Come si è arrivati a queste proposte di legge? Come spesso accade, il pretesto è stato coprire un presunto vuoto normativo. L’associazione britannica Dignity in Dying, “morire con dignità”, ha promosso campagne propagandistiche asserendo che la Gran Bretagna ha un problema: molti malati in fase terminale “sono costretti a finire la loro vita da soli e senza sostegno oppure a far affidamento sull’assistenza illegale di una persona cara o di un medico. Sono persone che vogliono controllare la loro morte quando questa è imminente e il dolore insopportabile”.
In realtà il vuoto normativo non c’è: finora il testo di riferimento è stato il Suicide Act del 1961, che punisce fino a 14 anni di carcere qualsiasi aiuto volto a far togliere la vita a una persona. Molto chiaro. Qualcuno potrebbe dire che è superato dal tempo. In effetti si potrebbe dire che dal 1961 le terapie, l’assistenza e le cure per le persone sofferenti, in particolare attraverso le cure palliative, hanno fatto passi da gigante.
Motivi per togliere la vita ad una persona malata ce ne sono molte meno di quelle che potevano esistere cinquant’anni fa. Nondimeno si è voluta nel 2010 la Commission on Assisted Dying, ribattezzata ‘Falconer Commission’, perché preseduta da Lord Charles Falconer, laburista, ex segretario di Stato alla Giustizia, un protetto di Tony Blair all’ombra del quale questo avvocato di Edimburgo ha svolto tutta la sua carriera politica. L’amico dell’ex enfant prodige della politica mondiale ha portato a termine il suo compito, supportato da giuristi, medici, psicologici. Falconer ha tenuto in gran conto anche la pressione mediatica presente da tempo in Gran Bretagna. La proposta di legge sarebbe infatti la risposta per fermare il cosiddetto “turismo della morte”, in aumento costante tra la popolazione britannica. Sempre più inglesi persone si recano in Svizzera per togliersi la vita. Oltre 200 negli ultimi quindici anni hanno approfittato della normativa elvetica, una delle più permissive al mondo. Ogni volta che i media rendevano pubblica la vicenda di chi si recava in Svizzera per suicidarsi, il dibattito si riaccendeva e si invocava la legge. Nel 2011 la BBC mandò in onda il documentario ‘Choosing to Die’, in cui veniva ripreso il suicidio assistito di un cittadino britannico, Peter Smedley, all’interno di una clinica in Svizzera.
Questi viaggi della morte, per i sostenitori del suicidio assistito, dovevano finire: nel senso che se una persona intende porre termine alla propria vita, deve potere farlo nel proprio paese. Le proposte normative di Falconer guardano esattamente al modello elvetico: il Codice penale elvetico infatti stabilisce che l’istigazione al suicidio e il suicidio assistito sono illegali solo se avvengono “per motivi egoistici”, una valutazione estremamente soggettiva che lascia amplissime libertà di manovra a far sì che una persona possa togliersi la vita. La legge Falconer ha tenuto conto anche di altre normative che prevedono l’assistenza medica diretta nella pratica eutanasica, come nei Paesi Bassi e in Belgio, e prevede che sia il malato a somministrarsi, tassativamente da solo, i farmaci. Il suicidio assistito, inoltre, sarebbe consentito ai soli malati terminali, la gravità delle cui condizioni tuttavia lascerebbe parecchie perplessità sulla modalità di questa “eutanasia fai da te”. Tra le “restrizioni” previste dalla Falconer Bill, c’è poi quella che limiterebbe la pratica del mettere fine alla vita solo di persone con un’aspettativa di vita non superiore a sei mesi, anche qui lasciando parecchie perplessità di carattere scientifico, visto che spesso la sopravvivenza dei pazienti può andare oltre questi calcoli.
Questa ennesima dimostrazione della “cultura dello scarto”, per usare le parole di papa Francesco, ha trovato dei sostenitori anche in campo cristiano, come Desmond Tutu, il prelato sudafricano ormai da tempo in drammatico calo di popolarità e visibilità, che ha cercato un rilancio sostenendo la necessità e portando a suo supporto gli ultimi giorni di Nelson Mandela, con il povero Madiba costretto a vivere col sostegno di macchine.
C’è da chiedersi se il vescovo anglicano sia mai andato a far visita a qualche persona, a qualche pecora del suo gregge, in ospedale, magari anche in una terapia intensiva, o dove fosse mentre l’intero popolo sudafricano trepidava augurandosi che il padre della patria non gli lasciasse e non morisse. E a proposito di anglicani: mentre una chiesa in stato pre-agonico come quella di Inghilterra deliberava nei giorni scorsi di aprire alla possibilità di ordinare delle donne vescovo, il suo ex-primate, Lord Carey, aderiva anch’egli alle proposte di Lord Falconer. Evidentemente un inconscio cupio dissolvi sia dal punto di vista antropologico che da quello ecclesiale. Chi praticherà il suicidio assistito alla Chiesa di Inghilterra? Per fortuna c’è ancora chi si oppone alla cultura dello scarto, in nome di un umanissimo concetto, quello del prendesi cura. L’associazione Care Not Killing non smette di far sentire la sua voce. Il presidente, il dottor Saunders, sottolinea che il Falconer Bill sarebbe pericoloso per le persone più deboli e bisognose di aiuto, come i disabili o chi soffre di depressione. Basti pensare a cosa è accaduto in Belgio dove adesso l’eutanasia può essere praticata anche sui bambini. Care Not Killing, prendersi cura e non uccidere, chiede che si fermi questo trend, e che invece si fornisca maggiore assistenza medica e psicologica, maggiori cure palliative. “Noi non chiediamo una legge restrittiva – ribadisce il dottor Peter Saunders – noi chiediamo che non ci sia mai una legge che tuteli una persona quando aiuta un’altra a uccidersi”. Speriamo che nel Parlamento di Londra venga ascoltato questo appello al buon senso e all’umanità.
Paolo Gulisano
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