Moro, padre dell’Utopia

Schermata 2016-08-08 alle 18.20.25IL GIORNALE DI LECCO – 01/08/2016

Il nuovo libro di Gulisano ripercorre le fortune di un ricco filone letterario moro, padre dell’utopia

LECCO 500 anni di Utopia. E di utopie. La letteratura da sempre sogna mondi ideali. O “antimondi”, distopie.

Una lunga tradizione che ha affascinato uno degli studiosi più attenti della letteratura del Fantastico: Paolo Gulisano. Il medico lecchese, scrittore e saggista per passione, non si è lasciato sfuggire il ghiotto anniversario. Vicepresidente della Società chestertoniana italiana, dopo aver spaziato da J. R. R. Tolkien a Clive Staple Lewis, da Mary Shelley a James Barrie fino a Hermann Melville, ha voluto onorare il mezzo millennio dalla pubblicazione del capolavoro di Tommaso Moro scrivendo il saggio Un uomo per tutte le utopie, uscito ai primi di giugno.

Che cosa l’ha affascinato di Thomas More?

“Il termine Utopia, nel significato di “non luogo”, di isola che non c’è, di mondo ideale e quindi irreale, fu coniato proprio da lui con il suo capolavoro. Oggi è entrato nel linguaggio comune, e forse siamo portati a considerare More un sognatore avulso dalla realtà. Non è così. Era un uomo profondamente calato nella realtà del suo tempo, capace di arrivare al sacrificio estremo per ciò in cui credeva. E’ passato alla storia per il braccio di ferro con Enrico VIII, conclusosi con la sua esecuzione. E’ stato il protomartire della modernità, dichiarato santo dalla Chiesa cattolica, capace di difendere fino alla morte la propria libertà di coscienza. Uomo di grandi ideali, era altrettanto realista e pragmatico: fu avvocato, politico di rango, cancelliere. Mi ha sempre affascinato che un uomo così concreto sentisse l’esigenza di fantasticare. Dalla vita e dal martirio di san Tommaso Moro scaturisce un messaggio che attraversa i secoli e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità inalienabile della coscienza, nella quale risiede il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nella sua intimità”.

In che contesto nasce Utopia e che cosa comunica all’uomo di allora e di oggi?

“Quando Thomas More scrive, si è nel pieno delle grandi scoperte geografiche, il mondo diventa sempre più vasto. Sembra che tutto sia possibile. In questo contesto, l’autore immagina che esista un altro continente dove si è realizzata una società migliore, dove gli uomini vivono più virtuosamente. Non è detto che l’uomo sia necessariamente lupo agli altri uomini. Può esistere un mondo più nobile. Vent’anni dopo averlo scritto. More si rende conto che i suoi sogni non si sono realizzati, la società inglese è peggiorata, Enrico VIII è un dittatore brutale. Ma l’Utopia non è morta. Anzi. Questo è l’inizio di una fioritura, nella letteratura”.

Com’è strutturato il libro?

“La prima parte è su More e sulla sua Utopia. Nella seconda comincia un viaggio tra le utopie e distopie successive. Tommaso Campanella con La città del Sole, Francis Bacon e La nuova Atlantide, opera originale perché Bacon è il primo esponente dell’antipolitica. Per lui i migliori governanti sono tecnici e scienziati, è auspicabile un’oligarchia del pensiero, della cultura e della scienza. Nel ‘700 Jonathan Swift critica profondamente la società del tempo con I viaggi di Gulliver. Da un certo punto di vista, comincia il genere distopico. Non si dipingono più mondi ideali, ma proiezioni di incubi. Non solo non c’è un mondo migliore, ma potremmo ritrovarci in uno molto peggiore. Basti pensare a 1984 di George Orwell, a Brave new world di Aldous Huxley. Nel romanzo di Orwell c’è lo psicoreato, il reato di opinione come colpa suprema. Il controllo si spinge addirittura sul passato, e chi controlla il passato, come si dice nel romanzo, controlla il presente. Analizzo anche Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, distopia terribile che dipinge un mondo che vuole distruggere i libri per controllare il pensiero. Eliminando la carta scritta, si elimina la memoria. Ma non potevo chiudere il libro così pessimisticamente. Il ‘900 ci ha dato anche le ultime utopie positive: Tolkien con la Terra di Mezzo, Lewis con Narnia. Mondi paralleli, simili ma diversi dal nostro, dove i finali sono aperti alla speranza. Qui è arrivato il filone nato nell’antichità con Platone, la Repubblica e Atlantide. La letteratura dell’immaginario ha molte declinazioni, ma nella modernità pragmatica e concreta a farci sognare mondi migliori è proprio Thomas More”.

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