LA GRANDE PAURA DEI BENPENSANTI

RICORDANDO GEORGES BERNANOS, UNO DEI PIÙ GRANDI SCRITTORI CATTOLICI DEL ‘900

Nell’estate di 75 anni fa si spegneva Georges Bernanos, uno dei più grandi scrittori cattolici del ‘900. Qualcuno potrebbe pensare che la definizione di “scrittore cattolico” sia riduttiva, chiudendo l’artista in una gabbia di tipo confessionale, ma in realtà Bernanos fu letteralmente un cattolico che viveva la sua fede intensa in modo quasi militante, come impegno di testimonianza, di annuncio, di apostolato.

Eppure i suoi romanzi si impongono anche al lettore che non è credente, sono fonte di suggestione e, come dire, di disagio, lo scuotono rispetto a tante, troppe “certezze” laiche frettolosamente accettate. Fu un segno di contraddizione per il suo Paese, la Francia, da duecento anni terra di feroci ideologie anticristiane, ma anche dove la pianta buona del Cristianesimo ha continuato a dare frutti straordinari di fede.

Oggi il nome di Bernanos è divenuto sconosciuto alle nuove generazioni, eppure si dovrebbe tornare a leggerlo.  Si scoprirebbe la sua capacità di indagare nel profondo, una capacità che aiuta a delineare le psicologie più indifese, lì dove la miseria e l’ignoranza privano la persona umana di ogni possibilità di reazione che non sia la resa, il lasciarsi andare, l’essere inghiottiti dalla indifferenza del mondo.

Bernanos fu uno dei più grandi romanzieri del ‘900, e i suoi capolavori furono Sotto il sole di Satana (1926) e Diario di un curato di campagna (1936), dove affronta i temi fondamentali della vita umana, a cominciare dalla lotta contro il male. I suoi eroi letterari spingono all’estremo limite la loro verità, sia buona che cattiva; essi hanno già il piede in un’altra dimensione. Sono anime inquiete, o meglio ribelli, che rifiutano di conformarsi alla mentalità di questo mondo. Gli strani eroi di Bernanos sono tutti impegnati a fondo nella loro condizione umana, tutti corrono lo stesso rischio soprannaturale.

Georges Bernanos fu un uomo appassionato e profetico, qualità che si manifestarono dapprima nell’impegno giovanile culturale e politico, con l’adesione alla causa monarchica e controrivoluzionaria dell’Action Française di Charles Maurras, che egli vedeva come il nuovo De Maistre.

Questa passione e questa lucidità di visione della realtà la trasferì poi nell’impegno culturale, nei romanzi, nel teatro dove realizzò l’opera più intensa e commovente e la denuncia più  profonda degli orrori della Rivoluzione Francese nel Dialogo delle Carmelitane. Tutta la sua capacità quasi chirurgica di analisi dei fatti e della storia la mise anche nella sua attività saggistica. L’opera più celebre in questo ambito fu I grandi cimiteri sotto la luna , dove Bernanos giudica le vicende della Guerra di Spagna. Lui, monarchico e nazionalista convinto e nostalgico vandeano, agli inizi dell’Alzamiento di Franco si era illuso di essere di fronte ad una nuova crociata, ad una azione di  restaurazione dei valori cattolici tradizionali della Spagna, che avrebbero poi potuto diffondersi oltre la Penisola Iberica. Ben presto tuttavia si accorse degli interessi economici e delle coperture internazionali che stavano dietro la facciata cristiana della “guerra santa” e si ritrasse inorridito dalle atrocità commesse in suo nome, non inferiori a quelle compiute da comunisti e anarchici. Salvò la nobile figura di Josè Antonio Primo de Rivera e il suo movimento della Falange, con le sue idealità, ma non risparmiò strali contro l’apparato militare franchista. Rimase anche fortemente deluso dall’atteggiamento delle alte gerarchie ecclesiastiche, quelle che negli anni precedenti avevano scomunicato l’Action Francaise del suo antico mentore Maurras, accusata di aver subordinato il Cristianesimo alla politica, e ora sostenevano apertamente determinati regimi.

Questo saggio gli valse la stima e l’approvazione di esponenti del progressismo cattolico, come don Primo Mazzolari e Carlo Bo, e fece sì che gli venisse “condonata” un’opera scritta anni prima, che avrebbe potuto costargli- dopo il suo ritorno in Francia nel 1945 al termine del suo esilio volontario in Brasile, l’esecrazione pubblica e la marginalizzazione nel mondo culturale francese e internazionale.

Quest’opera volutamente obliata fu il suo primo saggio, scritto con tutta la passione quasi veemente di cui Bernanos era capace. La Grande Paura dei benpensanti non veniva più pubblicata in Italia dal 1965, ed è dunque una scelta meritoria dell’Editore Oaks riproporre questo libro, sul quale grava l’accusa di antisemitismo. Specie in ambito cattolico, si è cercato in tutti i modi di salvare nel corso del tempo Bernanos da questo marchio di infamia. Si è sottolineato quanto in seguito lo scrittore ebbe a dire sull’antisemitismo di Hitler e sul dramma delle persecuzioni  contro gli ebrei, e questo suo primo saggio venne tenuto nascosto, come qualcosa di scomodo e di imbarazzante. Tuttavia non si può comprendere a fondo Bernanos se si censura

La Grande Paura dei benpensanti, che non è affatto un testo “maledetto.” E’ qui infatti che comincia a disvelarsi il Bernanos critico lucidissimo della cultura di massa, del mondo moderno, della civiltà tecnologica disumanizzante e della tecnocrazia agnostica, dei sistemi politici pseudodemocratici e totalitari, del progressismo cristiano e del laicismo ateo. Non si può certo dire che la sua critica  manchi di attualità, ed è notevole la definizione di “benpensanti”, che rappresentano un tipo umano diametralmente opposto alla concezione virilmente, eroicamente religiosa di Bernanos. La condizione del benpensante non è solo quella del tendere al compromesso, del conformarsi al pensiero dominante, che sia conservatore o progressista, ma anche di una vera e propria pavidità spirituale.  La grande paura dei benpensanti è quella che frena e blocca la persona di fronte al rischio del mistero, dell’imponderabile, della dimensione del sacro; è il terrore dello scandalo che mette in fuga borghesi perbenisti e preti accomodanti, ma è anche la paura che fa mettere la testa sotto la sabbia di fronte allo sfacelo della modernità, e oggi della postmodernità tecnologica, della  “civiltà” dell’Intelligenza Artificiale, della falsa democrazia e del dispotismo reale e condiviso. Bernanos denuncia una democrazia basata sul numero: “Un mondo dominato dalla forza è abominevole, ma un mondo dominato dal numero è ignobile… È cosa da pazzi affidare al numero la custodia della libertà. È folle opporre il numero al denaro, perché sempre il denaro ha ragione del numero.”

La Grande Paura dei benpensanti venne scritto a seguito di vicende che scossero profondamente la Francia di fine ‘800, e che durarono fino alla Prima Guerra Mondiale, e che segnarono profondamente la società transalpina. Il libro si può considerare in gran parte una biografia e una difesa della figura di Edouard Drumont, l’uomo che era stato il più fiero e accanito accusatore di Alfred Dreyfuss, un ufficiale francese accusato di aver svolto attività di spionaggio a favore della Germania. L’”affare Dreyfuss” aveva spaccato in due il Paese, e un elemento molto importante che emerse nel processo e negli infiniti dibattiti dell’epoca, era nel fatto che Dreyfuss fosse ebreo. Una condizione che metteva in dubbio la sua lealtà verso la Francia, e che faceva supporre una sua estraneità all’identità profonda francese. Ebreo, e quindi alieno.

Qui si inserisce la storia di Drumont: nato a Parigi nel 1844 da una famiglia di decoratori di porcellane di Lilla, rivelò fin da giovane un discreto talento giornalistico.

Dopo varie opere, tra le quali Mon vieux Paris (1879) per la quale fu premiato dall’Académie française, nel 1886 pubblica  La France Juive (La Francia giudaica), in cui  attaccò il ruolo degli ebrei in Francia e sostenne la loro esclusione dalla società. Nel 1892 Drumont fondò il giornale La Libre Parole, che divenne la piattaforma da cui spiccare il salto per la carriera politica. Nel 1893 si candidò senza successo in rappresentanza di Amiens. Dal 1898 al 1902 Édouard Drumont rappresentò il Dipartimento di Algeri nella Camera dei deputati della Terza Repubblica. Fu citato in giudizio per aver accusato un deputato parlamentare di aver preso una tangente dal famoso banchiere ebreo Édouard Alphonse James de Rothschild per far passare un atto legislativo voluto dal banchiere. Drumont attrasse molti sostenitori e simpatizzanti, impegnandosi in battaglie contro la corruzione e documentò vari scandali politici.

Raggiunse l’apice della sua notorietà nel corso dell’Affare Dreyfus, nel quale fu il più strenuo accusatore del militare di origini ebraiche, origini che Drumont non mancava mai di enfatizzare. Fondò una Lega Antisemita con la quale sosteneva le sue idee, che non ebbero il successo politico che lui sperava. Affrontò processi per diffamazione, e si spense nel 1917, senza poter assistere alla vittoria sulla Germania che rappresentò il coronamento del sogno di rivincita della Francia dopo l’umiliazione cocente del 1870. Quell’umiliazione che aveva prodotto i mali oscuri che serpeggiavano nell’anima profonda del Paese, e che avevano trovato sfogo proprio nell’Affare Dreyfuss, mentre l’alta borghesia si trastullava nei piaceri della Belle Epoque.

La Grande Paura dei benpensanti è il racconto della storia di Drumont, ma nel corso delle pagine si va ben al di là della vicenda del sanguigno giornalista, che aveva esercitato un certo influsso su Maurras.

Nei giudizi che Bernanos esprime, si riassumono le vicende e i nodi irrisolti della storia francese dopo la Rivoluzione: il terrore giacobino, poi Napoleone Bonaparte e la nascita dell’idea di Grandeur, poi le rivoluzioni ottocentesche, il feroce aticlericalismo di origine massonica, la sconfitta in guerra, la frustrazione, la ricerca di capri espiatori, il conflitto religioso. Emerge Bernanos cattolico “selvatico”, intransigente, che già dai tempi dell’università, a Parigi, aveva contestato il clero modernista che tanta preoccupazione aveva suscitato nel santo pontefice Pio X, nonché i professori radicali, partecipando a tutte le manifestazioni di piazza che si svolgevano in quel periodo nella capitale.

Il Tradizionalismo di Maurras si avviava a fondersi con il sindacalismo anticapitalista e nazionale di Sorel, e il Corporativismo veniva indicato come l’unica strada alternativa sia al liberalismo che al collettivismo, ma poi venne la Guerra, e la Francia che ne uscì non era quella sognata da Bernanos.

Ne La grande paura dei benpensanti si ritrova tutto il suo mondo ideale e culturale, cui, al di là di tutte le sue prese di posizione politiche contingenti, resterà sostanzialmente fedele tutta la vita. La critica al mondo moderno ed a tutte le sue manifestazioni più deteriori, come il produttivismo ed il consumismo diventa anche la previsione quasi profetica della decadenza dell’Europa; l’ individuazione della causa principale dell’alienazione spirituale della nostra epoca nella rivolta razionalista dell’uomo contro Dio si fa anche contestazione alla borghesia capitalistica sempre pronta a cedere alle forze del progressismo. Infine, dopo tante delusioni, rimane nello scrittore francese la certezza di un combattimento che deve essere eminentemente spirituale, una rivoluzione antipolitica, che affermi la libertà dell’uomo affrancato dal dominio delle masse, affrancato dal dio-denaro del capitalismo, ma anche dall’illusoria liberazione del marxismo, che colpisce solo l’ingiustizia materiale, ma non scopre il vero cancro della società moderna, che è l’odio dell’uomo verso se stesso e verso Dio. Una rivoluzione totale che verrà fatta dai “poveri di spirito” del Vangelo, testimoni dolorosi che diventeranno i protagonisti delle migliori opere narrative, sconfitti agli occhi del mondo e della storia, ma non di Dio.

Paolo Gulisano

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