Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un’interessante polemica tra il quotidiano cattolico La Nuova Bussola Quotidiana e la diocesi di Carpi. La questione è sorta a partire dalla mostra Gratia plena, inaugurata lo scorso sabato 2 marzo presso il Museo diocesano di Carpi, che espone le opere dell’artista Andrea Saltini, originario proprio del centro in provincia di Modena.
I giornali laicisti, in primis il Corriere della sera, hanno voluto entrare pesantemente nella vicenda, prendendo apertamente le parti della Curia. Un interessante fenomeno di neoclericalismo. Negli articoli sulla vicenda, si sono sprecati gli aggettivi nei confronti della Nuova Bussola Quotidiana, definita “espressione di ambienti tradizionalisti cattolici, critici verso papa Francesco”, o “ultra cattolici.” Da notare che alla guida della diocesi di Carpi c’è l’arcivescovo di Modena Castellucci, che ha preso il posto di monsignor Cavina (“ratzingeriano” lo definisce il Corriere, senza nominarlo), dimissionato d’imperio da Roma.
Il Corriere dunque dà voce alle posizioni della Curia che respinge le accuse del caporedattore della NBQ Andrea Zambrano, il quale aveva parlato di arte blasfema e dissacrante, in particolare per un quadro in cui viene ritratto un uomo chinato sulle parti intime di Gesù. Il titolo del dipinto è INRI. San Longino.
Longino secondo la tradizione è il soldato romano che diede l’ultimo colpo di lancia al costato di Cristo crocifisso. In seguito si convertì, divenne uno dei primi cristiani e secondo una lunga tradizione finì i suoi giorni a Mantova, a pochi chilometri da Carpi.
L’arte figurativa, si sa, è non solo rappresentativa, ma anche interpretativa.
Dal momento che la Curia, stizzita, ha invitato a guardare il dipinto con occhi mondi da malizia, ho seguito alla lettera l’autorevole indicazione, osservandolo a lungo.
Espongo qui alcune considerazioni: ciò che anzitutto colpisce dell’uomo ritratto, che dovrebbe rappresentare Gesù, è che non c’è alcun segno della Passione, se non i buchi dei chiodi sulle mani e sui piedi. Non un graffio su quel corpo glabro ed efebico. Non una goccia di sangue, nemmeno sul costato che pure Longino ha trapassato con una lunga e affilata lancia. Non un segno delle frustate ricevute, né della corona di spine. Il volto poi è lindo, perfino accuratamente sbarbato. Da un punto di vista medico-legale, è molto difficile stabilire la causa della morte. Forse per avvelenamento. Difficile anche confermare l’identità della vittima, che non corrisponde al cartello con la scritta INRI ritrovato accanto al cadavere.
Per quanto riguarda il sedicente Longino, quello che si può dire è che si tratta di un uomo, ritratto di spalle e chinato, che preme con la mano sinistra sotto il costato di Gesù. Il ritratto coglie l’uomo in modo che la sua testa si sovrappone alle pudenda della vittima, in un gioco di apparente pudore ma anche di ambiguità. Si tratta davvero di Longino? Non lo si può stabilire, ma non vi è alcuna certezza, e il fatto che il personaggio non indossi delle vesti da soldato romano, ma una maglia azzurra, di foggia moderna, induce ai sospetti. Non è da escludere che in realtà l’artista abbia voluto raffigurare se stesso.
Un autoritratto volutamente ambiguo. Forse una richiesta di perdono, o un tentativo di riparare al male fatto a Cristo con i propri peccati, andando a constatare la ferita arrecata. Ma anche una possibile insana attenzione di tipo necrofilo.
Giuste quindi le proteste di chi si è indignato di fronte alla strana scena, che oltretutto, con buona pace dei monsignori della Bassa Padana che hanno difeso a priori il dipinto, non ha alcun riferimento alla Scrittura, visto che Longino non aveva certo preso parte alla deposizione dalla Croce.
Si tratta quindi di un’opera quantomeno bizzarra. Sicuramente non è arte sacra, e quindi sicuramente inopportuna nel contesto in cui è stata esposta.
Un’artista è libero di dare una propria interpretazione, ma non di distorcere la realtà. In questo quadro il sedicente Gesù non è in realtà Gesù, ma una sua brutta imitazione, una parodia. Un Gesù esangue ed etereo, privato completamente della dimensione della sofferenza, della Passione salvifica. E tale è anche il sedicente Longino, figura affascinante della tradizione agiografica, qui distorta in modo equivoco.
Queste manipolazioni del Sacro purtroppo non sono una novità, ma in questo caso la triste novità è stata la difesa aprioristica e stizzita dell’accaduto da parte dell’apparato ecclesiale. Se la Chiesa non svolge il suo compito di difendere la verità e diventa assertrice dell’ambiguità, c’è davvero da preoccuparsi.
Paolo Gulisano