Antinfiammatori in calo, così il Covid non è stato curato

Dal report Aifa sulla vendita dei farmaci nel 2020 emerge, oltre all’aumento degli ansiolitici, il calo degli antinfiammatori (FANS). Ma sono proprio questi che si sarebbero dovuti usare per una cura precoce. Invece si è puntato, sbagliando, sul paracetamolo. Preoccupa anche il calo di farmaci oncologici endovena, che fa temere che alcuni tumori non siano stati adeguatamente affrontati. 

E’ stato pubblicato il rapporto Aifa sull’acquisto di farmaci durante la pandemia. Un documento estremamente interessante per capire come è stata affrontata l’epidemia, ma anche quali conseguenze abbiano avuto sulla salute della popolazione italiana i provvedimenti anti Covid, a partire dai lockdowns, ma anche dal clima di terrorismo psicologico creato dai media, dai social, da una opinione pubblica manipolata all’insegna del Fattore P. la paura.

Quello che spicca nel rapporto infatti è l’aumento di consumo di psicofarmaci, in particolare ansiolitici, che ha visto un’impennata nella seconda ondata, mentre il punto più basso di consumo di farmaci per l’ansia nel 2020 c’è stato ad agosto, quando regnava una maggiore tranquillità correlata alla sensazione di essere usciti dal tunnel del Covid. Poi, come sappiamo, da settembre iniziò la campagna di tamponi di massa, con 250.000 test al giorno, che portavano alla scoperta di positivi – nella stragrande maggioranza asintomatici – con la conseguenza di far ripiombare nella paura, nella depressione e nell’ansia, nei disturbi del sonno.

Analizzando nel dettaglio, l’andamento dell’acquisto di ansiolitici è passato da circa 20 confezioni al giorno per 10.000 abitanti vendute in agosto a circa 28 vendute a dicembre, mentre il massimo, durante la prima ondata era restato sotto quota 24. La fase autunno-inverno dell’epidemia è stata dunque più pesante da un punto di vista psicologico, aumentando la sensazione di incertezza correlata alle continue misure restrittive adottate negli ultimi mesi, con il peggioramento delle preoccupazioni legate agli aspetti lavorativi ed economici. 

A fronte dell’aumento del consumo di psicofarmaci, si è invece riscontrata la diminuzione del consumo di altri prodotti. Aifa segnala un netto consumo di contraccettivi e di farmaci per la disfunzione erettile, come il celebre gioiellino azzurro di casa Pfeizer, che nel corso degli anni aveva procurato profitti da sogno alla multinazionale americana. Evidentemente le relazioni affettive hanno risentito anch’esse del clima di paura e di depressione, oppure gli inviti dei virologi assertori del sesso fai da te hanno trovato seguaci.

Ma il dato che più impressiona è la diminuzione del consumo di farmaci antinfiammatori. Un dato sorprendente proprio perché il meccanismo patogenetico del Covid, e che lo può rendere una malattia pericolosa, è proprio quello infiammatorio. Pertanto, se c’era una categoria di farmaci che avrebbe dovuto andare letteralmente a ruba sarebbe dovuta essere quella dei FANS, i farmaci antinfiammatori non steroidei. In particolare si è ridotto il consumo dell’ibuprofene, uno dei prodotti che ha dato i maggiori benefici tra i malati di Covid, e che guarda caso fin dall’inizio dell’epidemia era stato oggetto di attacchi mediatici, che evidentemente hanno avuto successo visto il calo nell’uso.

Il report Aifa invece rileva un aumento dell’uso dell’azitromicina, un antibiotico che è stato ampiamente utilizzato dai medici che hanno curato e guarito pazienti Covid domicilio. Questo utilizzo dell’azitromicina è stato severamente commentato da Massimo Andreoni, direttore dell’UOC Malattie Infettive dell’Ospedale di Tor Vergata a Roma. Andreoni ha parlato di un “un uso improprio di questi strumenti che, se utilizzati al momento sbagliato, creano più danni che benefici. E’ una moda iniziata con la seconda ondata e continua in modo preoccupante”, ha detto riferendosi all’azitromicina, ma anche al cortisone e all’eparina, guarda caso altri farmaci che hanno salvato migliaia di vite.  Andreoni è stato supportato immediatamente da un altro infettivologo costantemente sotto i riflettori, Matteo Bassetti, che ha osservato che “le prescrizioni dettate dal panico”  sono una malpractice che serpeggia pesantemente e in particolare, a suo avviso, con un uso indiscriminato di antibiotici si starebbero ponendo le basi per ulteriori pandemie da germi resistenti.

Ma per Bassetti non basta evitare di dare antibiotici: bisogna limitare anche il cortisone, che a suo avviso andrebbe assunto solo quando la saturazione dell’ossigeno scende sotto il 92%. C’è poi un altro farmaco che l’Aifa segnala in aumento di consumo: l’eparina. Anche qui un farmaco ampiamente utilizzato nelle terapie salvavita a domicilio. E naturalmente anche qui i soloni dell’infettivologia hanno da ridire: il farmaco che aiuta a evitare la formazione di trombi, una delle più gravi complicanze del Covid, dovrebbe avere un uso molto limitato. A questo punto ci si potrebbe chiedere, dopo tutte queste scomuniche farmaceutiche, visto che non è opportuno utilizzare antibiotici, antinfiammatori, cortisoni ed eparina, con quale prodotto si può cercare di contrastare il Covid, di arrestare le polmoniti che esso provoca, e la risposta è scontata e desolante: col paracetamolo.

Non è difficile capire perché tantissime persone con Covid dopo giorni di solo antipiretico, siano poi finiti direttamente in terapia intensiva. E gli altri farmaci, come la clorochina o l’ivermectina? Non vengono nemmeno presi in considerazione. C’è un ultimo dato inquietante, in questo rapporto Aifa: sono diminuiti gli acquisti di farmaci oncologici endovena, somministrabili nei reparti di oncologia ospedalieri. Un dato che deve preoccupare. Forse le pandemie prossime venture non saranno, come paventa Bassetti, quelle provocate da batteri antibiotico-resistenti, ma da tumori non adeguatamente affrontati. 

Paolo Gulisano

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