Ecco le liturgie biocompatibili. Che pasticcio sull’Eucaristia

Nel protocollo d’intesa Cei-Governo, la sicurezza è certamente garantita. Bene l’indicazione di aumentare il numero delle Messe e il non aver ceduto sui termoscanner. Ingiustificato il “no” all’acquasantiera, a Cresime e Prime Comunioni, e la mancanza dell’eccezione al distanziamento per i nuclei familiari. Misure confuse e iper-igieniste sull’Eucaristia. Resta di buono che potrà essere distribuita anche in bocca.

Per la prima volta nella storia, dovremo sperimentare delle celebrazioni liturgiche biocompatibili con un’epidemia. Il tutto sarà regolato dal protocollo per il quale la CEI ha ottenuto l’autorizzazione dal “Comitato tecnico-scientifico” che supporta le decisioni del presidente del Consiglio.
In realtà c’è un precedente storico per quanto riguarda il fatto che un’autorità statale possa fissare le norme per le celebrazioni liturgiche, ed è lo scisma anglicano di Enrico VIII. Ma in quel caso le motivazioni non erano di tipo igienico-sanitario come oggi.
Cosa si può dire di questa regolamentazione? Se la prima preoccupazione dei governanti, così come dei vescovi, era la sicurezza – cioè il fatto che un fedele o un sacerdote possa partecipare alla Messa senza che ciò rappresenti un’occasione di contagio – possiamo dire che il protocollo la garantisce a sufficienza. Naturalmente il rischio non può essere azzerato, così come per nessun’altra attività, peraltro. Una chiesa non è assolutamente un luogo più a rischio di un supermercato, un centro commerciale, una tabaccheria, un’edicola, e soprattutto un ospedale, luogo di contagio per eccellenza.
Il protocollo prende in considerazione i princìpi fondamentali della prevenzione di una malattia trasmissibile, ovvero il distanziamento di un metro tra una persona e l’altra, e quindi avremo una partecipazione di popolo più diradata, quantomeno dimezzata. Il protocollo recepisce fortunatamente l’indicazione che era stata suggerita di aumentare il numero di Messe. Quindi, niente sciagurati “maxischermi” come qualcuno aveva ventilato, con celebrazioni in due settori, quello interno e quello esterno. La CEI è riuscita anche ad evitare l’imposizione di Messe tutte all’aperto, che non aveva alcun senso da un punto di vista sanitario, col rischio poi tra qualche settimana – quando esploderà il caldo – di patologie da insolazioni o colpi di calore. Dunque tutti in chiesa, anche se contingentati.
La CEI è riuscita ad evitare anche l’imposizione dei costosi termoscanner, o di altre procedure di misurazione della temperatura. È prevalso un criterio di autoresponsabilità: se non sto bene, se ho la febbre, non vado a Messa. Più problematica è invece un’altra richiesta del protocollo: niente celebrazione per chi è stato in contatto con “persone positive” nei giorni (quanti?) precedenti. Anche qui comunque ci si deve appellare al senso di responsabilità dei fedeli, e all’ovvia evidenza che se uno è un contagiato o un familiare convivente dovrebbe essere stato già posto in quarantena dalle autorità sanitarie locali.
Varcata la fatidica soglia della chiesa, cosa attende il fedele? Non c’è l’acquasantiera, ma il dispenser del disinfettante per le mani. Il no all’acquasantiera da un punto di vista medico è ingiustificato: non c’è infatti nessuna evidenza scientifica che il Covid-19 sopravviva nell’acqua. Ma evidentemente i tecnocrati hanno manifestato dei dubbi sulle qualità organolettiche dell’H2O benedetta. In compenso ci sono i dispenser, perché – a differenza di quanto era stato suggerito – non è previsto l’uso di guanti. Un’assenza quantomeno strana. Quindi a Messa a mani nude, ma disinfettate. Mani che non ne stringeranno altre, perché non c’è più nella celebrazione lo scambio della pace. Un addio (o un arrivederci?) senza alcun rimpianto vista la confusione che spesso questo gesto comportava.
Avremo Messe decisamente più composte, e per di più senza cori o coretti, non previsti dal protocollo. Solo musica d’organo. Anche qui potremmo dire che non tutti i protocolli vengon per nuocere. E nemmeno avremo le collette: le offerte dovranno essere versate in appositi contenitori. Insomma: ci sarà una certa cura affinché siano limitati al minimo i contatti fisici, possibili fonti di trasmissione del virus.
C’è tuttavia una criticità: si era suggerito ai Vescovi di consentire un’eccezione alla norma del distanziamento dei fedeli sulle panche: i nuclei familiari. Una famiglia vive insieme, mangia insieme, dorme insieme. Che senso ha che in chiesa debba essere “distanziata”? Una famiglia – ad esempio – di cinque persone dovrebbe occupare ben tre panche. E i bambini piccoli? Devono stare all’estremità di una panca, lontani dai genitori? Si rischia che i bambini non vengano più a Messa, o che le famiglie vi vengano scaglionate.
Veniamo poi ad una misura che era stata oggetto nei giorni scorsi di varie ipotesi e illazioni: la distribuzione della Comunione. Purtroppo questo protocollo si è dimenticato di indicare come i fedeli devono recarsi a riceverla. Erano state date delle indicazioni sul distanziamento e sull’“incolonnamento” dei fedeli, ma non sono state recepite, così come l’indicazione che a distribuirla fosse il solo celebrante, il quale si era precedentemente disinfettato le mani. I “ministri straordinari” non resteranno disoccupati, perché bardati con guanti (loro sì) e mascherine di ordinanza potranno ancora distribuire la Comunione. A proposito di mascherine: anche se la misura del distanziamento le renderebbe non indispensabili, queste sono ormai un oggetto-simbolo della nuova società pandemica, e quindi sono state imposte dalle disposizioni. Ciò purtroppo darà all’assemblea dei fedeli un aspetto davvero spettrale. Speriamo dunque che l’obbligo di mascherina sia molto transitorio.
Ma torniamo all’Eucaristia: il sacerdote dopo essersi igienizzato le mani, aver indossato i guanti, e con la mascherina sul viso, avrà cura – dice il protocollo – “di offrire l’ostia senza venire in contatto con le mani dei fedeli”. Già, perché le mani dei fedeli potrebbero essere contaminate. Quindi, questo passaggio può essere interpretato in due modi: il celebrante lascia cadere la Particola sulle mani, oppure la posa sulle labbra del fedele avendo cura di non venire a contatto con esse. La Comunione può dunque essere fatta in tutte e due le modalità oggi previste, mentre in un primo tempo si parlava di un’esclusiva della Comunione sulla mano.
Resta una perplessità: se questo “passaggio” dell’Ostia è giudicato tanto critico da far mettere al celebrante i guanti, a rigor di medicina i guanti stessi andrebbero cambiati ogni volta che si “consegna” la Comunione. O meglio ancora sarebbe ogni volta disinfettare le mani. Un po’ macchinosa come operazione.
Infine, una perplessità: alla luce di queste indicazioni, possono essere anche celebrati i Sacramenti della Riconciliazione (al di fuori del confessionale), nonché funerali, matrimoni e battesimi. Stranamente escluse sono le Cresime. A cui si aggiungono le Prime Comunioni. Non se ne comprende proprio il motivo: la celebrazione di questo importantissimo Sacramento potrebbe avvenire tranquillamente con un ridotto numero di partecipanti, cresimandi, padrini e madrine, parenti. Certo: i Vescovi dovrebbero sobbarcarsi l’impegno di moltiplicare gli impegni pastorali in cui celebrare questo Sacramento, ma i tempi difficili richiedono a tutti un surplus di impegno, e siamo certi che i Pastori non vorranno tirarsi indietro. Ci auguriamo dunque che questo punto del protocollo venga presto rivisto.
Da ultimo, tra le raccomandazioni finali del protocollo c’è il suggerimento, che non c’entra nulla con le misure di sicurezza sanitaria, di favorire le trasmissioni delle celebrazioni in modalità streaming. In realtà questo tipo di Cyberchiesa è proprio quella che i fedeli vogliono lasciarsi quanto prima alle spalle come un brutto ricordo del triste tempo dell’epidemia.

Paolo Gulisano

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