Per una storia del tradizionalismo cattolico

Nella teologia cattolica la tradizione è la trasmissione delle verità rivelate che risalgono all’insegnamento di Cristo e degli apostoli, sviluppate e definite nella storia della Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo. Come tale, la tradizione è considerata fonte della rivelazione insieme alla Scrittura.

Si parla di divina Tradizione se ci riferisce agli insegnamenti dati direttamente da Cristo oppure di Tradizione divino-apostolica se gli Apostoli non l’appresero direttamente dalle labbra del Signore, ma da quanto lo Spirito Santo ha fatto loro capire.

I protestanti, da Calvino e Lutero in poi, stabilirono come principio fondamentale che la Scrittura contiene tutta la rivelazione fatta da Dio, con la conseguente negazione della Tradizione, e avendo la Bibbia come unica regola di fede.

Peraltro, nella stessa Bibbia non si trova alcuna giustificazione del fatto che ci si debba attenere al criterio della sola Scrittura. Anzi, il testo di Giovanni 14,26 dice che lo Spirito Santo farà comprendere agli apostoli quanto Cristo ha detto, e sempre Giovanni, al termine del suo Vangelo, dice: “Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere” (Gv 21,25).

L’esclusione della tradizione porta alla protestantizzazione della Chiesa cattolica: questa una delle riflessioni che mi sono state suggerite dalla lettura dell’eccellente saggio di Aurelio Porfiri edito da Solfanelli con il suggestivo titolo La destra del Signore si è alzata. Il sottotitolo recita Una storia del tradizionalismo cattolico dal Vaticano II a “Traditionis custodes”, ma in realtà l’esame storico fatto da Aurelio Porfiri, compositore, direttore di coro, educatore e autore di oltre sessanta libri tradotti in varie lingue, parte ancora più da lontano, ovvero dal Modernismo, questa pericolosa eresia che, combattuta strenuamente da san Pio X e dal suo braccio destro, il cardinale Merry del Val, fu sconfitta ma non debellata. Il Modernismo seppe abilmente occultarsi, diventando più abile a infiltrarsi in modo non troppo aperto nel lavoro teologico, fino a riemergere con sempre maggiore forza negli anni Cinquanta grazie a studiosi gesuiti come Teillhard de Chardin e Henry de Lubac, contrastati sul piano disciplinare dall’allora Sant’Uffizio, ma esaltati in seguito al Concilio Vaticano II, fino a diventare, nel caso di de Lubac, punti di riferimento per un movimento come Comunione e Liberazione.

Uno degli ambiti in cui il neo Modenismo trovò spazio per esprimersi fu il campo liturgico, poco appariscente, al riparo dallo sguardo pur attento di chi presiedeva allora alla Dottrina della Fede, e proprio le riforme liturgiche al Concilio Vaticano II, come spiega bene Porfiri, furono il grimaldello per iniziare a scardinare le difese del patrimonio dottrinale trasmesso da secoli.

Il Concilio Vaticano II è analizzato accuratamente, nella sua storia e nei suoi protagonisti, da Porfiri. Ed è qui che nasce la categoria del “tradizionalista”, inteso come colui che fa resistenza ai cambiamenti, alle riforme della Chiesa ritenute necessarie per il suo “aggiornamento”, in una parola al “nuovo che avanza”.

È dopo il Concilio Vaticano II che i sostenitori dell’importanza della Tradizione sono definiti “tradizionalisti”, termine con un’accezione decisamente negativa. Recentemente, con l’attuale pontificato, è invalso il termine “indietristi”, ma la parola tradizionalista ha ancora una sua valenza estremamente significativa.

Viene ricordato dall’autore come uno dei protagonisti di questa opposizione, l’arcivescovo Marcel Lefebvre, fondatore nel 1970 della Fraternità sacerdotale San Pio X, denunciò l’irrompere nel pensiero della Chiesa di idee della Rivoluzione francese, la madre di tutte le sovversioni, come anni dopo la definì il grande dissidente russo Aleksandr Isaevič Solženicyn. A partire dalle riforme liturgiche, che andarono a modificare radicalmente la santa messa, si iniziò una sorta di rivoluzione nella Chiesa, sfuggita di mano allo stesso pontefice Paolo VI. Nel libro di Porfiri la storia del tradizionalismo va di pari passo con quella del progressismo, anche il più estremo: parliamo di “preti operai”, teologia della liberazione, don Milani, Ernesto Balducci, padre Turoldo, quelli che allora erano i “cattolici del dissenso”, le cui idee guidano il pensiero e l’azione della gerarchia attuale. A questa azione, quasi secondo una legge fisica, corrispose una reazione. E non è un caso che i primi insulti rivolti ai cattolici tradizionalisti furono quelli di “reazionari”, così come di “intransigenti”, termine che oggi viene declinato con l’aggettivo “rigidi”.

Porfiri ci documenta come nacque e si sviluppò l’opposizione al processo rivoluzionario, liturgico prima e dottrinale poi. Fu una minoranza, che durante il pontificato di Benedetto XVI, un progressista pentito, è andata allargandosi, coinvolgendo anche diversi esponenti provenienti da un mondo cattolico conservatore e moderato nei confronti del Concilio Vaticano II.

In questa disamina del prezioso saggio di Porfiri siamo partiti dalla riflessione sulla progressiva protestantizzazione della Chiesa cattolica. Per chiudere – ma in realtà per aprire un’ulteriore prospettiva di dibattito – verrebbe da chiedersi, in una sorta di paradosso chestertoniano, se in un momento storico come quello attuale, in cui il neo Modernismo, o progressismo che dir si voglia, è andato molto oltre il Vaticano II, se non si possa trovare nei suoi documenti un punto di appoggio per la causa della difesa della Tradizione.

E in effetti c’è. Eccola: “È la stessa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero canone dei Libri Sacri, e in essa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse Sacre Lettere; così Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa, e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti a tutta intera la verità e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza” (Dei Verbum, 8).

Inoltre, afferma che “la sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti da non potere indipendentemente sussistere, e tutti insieme, secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime” (Dei Verbum, 10).

L’ermeneutica della continuità, praticata per anni da Benedetto XVI, tendeva a questo. Per molti si è trattato di un progetto fallito, e sicuramente lo è stato dal punto di vista strategico, ma l’esigenza sempre più urgente di un’efficace opposizione controrivoluzionaria richiede di tenere conto di tutti i fattori, storici, culturali e teologici.

Aurelio Porfiri, La destra del Signore si è alzata. Una storia del tradizionalismo cattolico dal Vaticano II a “Traditionis custodes”, presentazione di Roberto de Mattei, Solfanelli, 252 pagine, 16 euro

Paolo Gulisano

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