Scoprire il cristianesimo per capire il mondo. Intervista a Silvana Carcano

Incontrare Silvana Carcano è sempre un’esperienza confortante e gratificante. La sua gentilezza, la trasparenza e la pulizia del suo sguardo, l’innata bontà di questa donna fanno bene al cuore. E la cosa è detta senza alcun riferimento ai gravi problemi cardiaci che la scrittrice milanese ha dovuto affrontare l’anno scorso. La malattia non le ha tolto la sua positività, il suo desiderio di operare per il bene.

Per chi non la conoscesse, Silvana Carcano è una scrittrice, che utilizza anche la scrittura biografica come strumento terapeutico, una mamma di due figlie, una laureata in Economia e commercio alla Cattolica di Milano che ha lavorato in multinazionali in area gestione del personale e sul tema responsabilità̀ sociale e ambientale. È stata consigliera regionale lombarda per il M5S, di cui è stata la presidente per i cinque anni di mandato. Ha lavorato in Commissione Antimafia, dove ha presentato e fatto approvare all’unanimità la legge sulla prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità (L.R. 17/2015). Ha abbandonato la politica nel 2018, a fine mandato. Forse bisognerebbe dire meglio che ha abbandonato l’impegno partitico. In effetti la Carcano continua quasi senza volerlo a occuparsi della Cosa Pubblica nel senso più nobile del termine, come impegno civile e culturale. Molto nella sua vita è cambiato dopo quella che potremmo chiamare conversione. Era nata cristiana e cattolica, come quasi tutti, ma come accade ormai ad un numero elevatissimo di persone, la Fede era diventata per lei qualcosa di lontano, insignificante. Poi una scoperta del Cristianesimo attraverso l’incontro con Cristo, prima, e con persone, poi, che le sono state maestri, e il patrimonio straordinario della tradizione, della spiritualità cristiana. Da qui è nato un libro sui Dieci Comandamenti. E proprio questo libro è il punto di partenza della nostra conversazione.

Silvana Carcano, l’esperienza della riscoperta della Fede l’ha portata a esordire nell’ambito della saggistica, con un libro sui Dieci Comandamenti (Tremila anni e non sentirli, editrice Ancora). Potremmo dire che ha voluto partire dalle basi, quelle che molti cristiani hanno dimenticato.

Vero. Il motivo è che credo che l’uomo sia di questo mondo e insieme non lo sia; deve riscoprire la sua tendenza innata a trascendersi, abbandonando l’idea di credersi misura di tutto, idea di cui la storia ha dimostrato ampiamente il contrario. Chiunque può capire che l’uomo è trascendente a se stesso, costituito e intessuto, cioè, da elementi che lo trascendono: l’amore, l’amicizia, la sofferenza, il dolore, la morte.

I Dieci Comandamenti, che esprimono valori autentici e desiderabili da chiunque, possono essere il motore di un nuovo umanesimo, non solo di una nuova vitalità cristiana. In fondo, le Dieci Parole hanno accompagnato il cammino di Israele fuori dall’Egitto: possono essere le Dieci Parole che accompagnano la liberazione dell’umanità di oggi da altre (o uguali?) schiavitù. Credo che tante persone intuiscano la privazione di qualcosa di fondamentale, così come bramano amore, pace e fratellanza. Il Decalogo è un modo per tornare ad ascoltare la parola di colui che guida verso la libertà. E forse, oggi, con questa pandemia questa privazione diventa più evidente.

Ecco perché ho chiesto a dieci persone di fare due chiacchiere con me e di raccontare il modo secondo il quale uno specifico Comandamento è entrato nella loro vita, indipendentemente da eventuali appartenenze religiose o meno. Nelle differenze dei dieci racconti è emerso un filo che unisce tutti: le dieci esperienze si spingono tutte ai confini tra il mondo e Dio, non si accontentano di questa storia e di questo tempo. Anzi, tutti temono, a parer mio, di rimanere bloccati in questo mondo, tanto da criticarlo in molti modi e da numerose angolature. Tutti loro hanno fatto i conti con i drammi attuali e con un periodo storico difficile.

Nessuno ha fatto sconti a nessuno, tanto meno alla nostra società occidentale tecnologica. E soprattutto, ecco la bellezza, tutti loro hanno provato gusto autentico ad andare oltre, a trascendere questo mondo, portandosi ai confini di un altro con la naturalità dell’essere umano «vero». Tutti loro hanno osato rompere, spesso in modo discreto, con ciò che è di questo tempo, stralciando i criteri mondani, seppur comodi, per incamminarsi verso sentieri più faticosi e fuori moda, con esperienze alte e altre.

Qual è secondo lei il Comandamento di Dio oggi più calpestato?

Non ho dubbi: il primo, Non avrai altri dèi di fronte a me. Osservi la storia dell’umanità degli ultimi 2500 anni: vedrà che abbiamo vissuto un continuo alternarsi di guerre, intervallato da momenti di pace. I motivi delle guerre hanno un minimo comun denominatore: l’idolo del nostro ego. Tutte le strutture attualmente esistenti (sociali, legislative, linguistiche, psicologiche, culturali, mentali, etc.) sono, quindi, il risultato del processo secolare di quella storia, depositata strato dopo strato nel nostro essere, nella nostra coscienza: siamo uomini e donne cresciuti su un fondamento egoico-bellico.

Ne è conseguito che, attraverso i secoli, abbiamo sperimentato differenti forme organizzative comunitarie, alla ricerca del modello societario ideale, passando da guerre fisiche, a guerre «fredde», e, infine, a guerre economiche. In ogni fase e in ogni guerra è prevalso l’ego bellico dell’essere umano. Anche nei confronti delle altre specie viventi. E se il coronavirus è arrivato a essere una pandemia anche a causa dei mutamenti naturali in termini di riduzione della biodiversità (e ce lo confermeranno o meno gli scienziati col tempo), beh, allora è ancor più evidente che dobbiamo trovare un nuovo modo di stare su questa meravigliosa Terra.

Per fare un salto evolutivo è necessario scardinare questi strati egoico-bellici depositati in noi, nei millenni, che influenzano quotidianamente la nostra vita, in ogni dettaglio. Questo passaggio richiede che vengano sciolti come neve al sole gli idoli che ci spingono ad agire come nel passato. Il primo passo è comprendere che siamo esseri reietti, gettati su questa terra per una briciola di tempo, e che aneliamo costantemente il ritorno alla vera vita.

Non avere altri dèi di fronte a noi è un precetto che chiede all’umanità di non essere attraversati dalla storia che si ripete continuamente, ma di essere noi stessi a scrivere una nuova storia. Rimettere Dio al centro della vita dell’uomo, e farlo in un mondo laico e secolarizzato, significa liberare l’umanità dalla schiavitù in cui vive da millenni, curarla dal dolore e dalla sofferenza che vive. Liberarla da schemi ormai consumati e fallimentari, per farle fare un salto nel vuoto: serve una forza immane, direi, divina per questo sforzo.

Dio non ci ha dato dei comandi, ci ha ricordato di essere in relazione con noi, e che, non riconoscendo la nostra relazione con Lui, continueremo ad avere altri dèi a cui aggrapparci. E la storia continuerà a ripetersi, nelle sue strutture belliche e idolatriche, senza soluzione di continuità.

Abbiamo costantemente cercato la società ideale, sbagliando. È ora di cercare l’uomo ideale, da cui discenderà una società migliore. Per farlo bisogna sviluppare l’uomo spirituale, che, per definizione, è indisponibile a ciò che è solamente materiale. È un uomo con un piede sulla terra e uno in cielo, non è manipolabile da oligarchie di uomini con interessi economici o politici.

La sua storia di impegno politico si è conclusa un anno fa. Cosa le ha dato questa esperienza?

Si è trattata di un’esperienza di difficile bilanciamento tra aspetti positivi e negativi. Da un lato, mi ha permesso di approcciarmi ad un’attività che desideravo fare da quando ho ricordo di me. L’ho scritto nel libro: ho sempre desiderato entrare nella Guardia di Finanza, che, ai tempi, era un corpo militare chiuso alle donne. E per anni ho sentito parlare di tempi imminenti per aprire a noi donne. Lentamente, quel desiderio sfumò.

Come vede, però, ci sono comunque arrivata a quel tipo di attività professionale, per vie traverse. La politica, dunque, è stata una via per fare ciò che per cui ho sempre sentito di essere portata. Al tempo stesso, però, mi ha posto di fronte a ciò che tutti intuiscono ma pochi toccano con mano: il logorio che genera il potere. Per poter coprire ruoli di potere serve un solido fondamento valoriale per evitare di deragliare lungo il percorso.

Mi spiego: ho visto diverse persone, anche amici, corrotti dalle sirene del potere, anche inconsapevolmente, e che, in nome di quel potere acquisito, hanno stravolto i motivi per cui nasceva un movimento come quello dei 5 stelle. Metaforicamente parlando, è stato come prendere un treno per Firenze, per poi ritrovarmi diretta verso Trento, in direzione opposta. L’aver reclamato per cinque anni della direzione errata, e non essere ascoltata, mi ha fatto male. Ma, come sempre, ogni fatto della vita può essere sempre una grande opportunità.

Ho imparato tanto anche da queste esperienze, soprattutto a livello interiore. Ed è una grande soddisfazione per me, oggi, poter affermare senza indugio il mio totale disinteressamento rispetto alle sirene del successo, del potere, della visibilità e del guadagno facile. Certo, tutto ha un prezzo: tornare alla mia attività professionale dopo un «fermo» di cinque anni non è stato facile, non lo è ancora ora. Come sa, poco dopo aver deciso di tornare alla consulenza ho avuto seri problemi di salute che mi hanno fermato completamente per un anno, per poi fermarmi ancora a causa della pandemia. Per una libera professionista è alquanto difficile, ma ora ripartirò più forte che mai.

Tuttavia, lei ha deciso di proseguire con un impegno civile, ed è recentemente diventata consulente della Commissione parlamentare Antimafia. Una nomina che le dà modo di proseguire un impegno iniziato all’interno della Regione Lombardia…

È così. Come dicevo, l’antimafia è la mia passione innata, un’indole, una missione che ho dentro, nella carne, da sempre. E anche la mia attività consulenziale, che prima era rivolta solo al tema della sostenibilità delle aziende, oggi include anche l’anticorruzione, nel pubblico e nel privato, non solo in termini di compliance, ma anche in termini di educazione alla legalità.

In particolare, lei lavora nel Comitato XII, che studia i rapporti tra Mafia e Massoneria. Un tema molto delicato.

A motivo del giuramento fatto entrando come consulente in Commissione, in cui ho garantito segretezza e riservatezza, posso dire ben poco, se non che il punto di partenza è il lascito della Commissione della precedente legislatura, lascito ben fatto. Tuttavia, posso dire che c’è molto lavoro da fare su questo tema poiché, purtroppo, i rapporti tra mafia e massoneria persistono.

Per quanto riguarda le mafie, sembrerebbe che l’attuale situazione prodotta dal lockdown adottato dall’attuale Governo possa favorire una attività tipicamente mafiosa che potrebbe avere una grande espansione dovuta alla drammatica situazione in cui versano e verseranno sempre più persone: il prestito a usura…

Attenzione a una cosa: per parlare di infiltrazioni mafiose nell’economia legale in un periodo di pandemia è importante, propedeuticamente, osservare come funziona il nostro tessuto imprenditoriale, soprattutto quello del nord Italia, in periodi di normalità, per evitare di cadere nell’errore ingenuo o indulgente di leggere il mondo in maniera manichea: da un lato i mafiosi, dall’altro tutti gli altri, compatti, determinati e risoluti a difendere lo Stato di diritto. Non è così.

Purtroppo, l’imprenditore del Nord non sempre è vittima della criminalità mafiosa. Taluni imprenditori non si limitano a subire l’organizzazione mafiosa, ma fanno affari con la stessa, prendendo l’iniziativa di contattare i mafiosi per vantaggi economici. In alcuni casi, gli imprenditori, ci spiegano le numerose inchieste, hanno contattato i mafiosi per riciclare denaro proveniente da loro azioni di evasione fiscale: la mafia come professionista che offre servizi. Poi, certo, la mancanza di liquidità, l’incertezza nelle linee di credito, l’assenza di lavori pubblici e i costi aggiuntivi per la salute dei lavoratori e la sanificazione dei posti di lavoro, hanno aggravato ancor di più una situazione che, però, era già segnata da un intreccio tra l’economia legale e illegale.

E va chiarito, come ci insegna il prof. dalla Chiesa nel libro L’impresa mafiosa, che l’impresa mafiosa o a partecipazione mafiosa non è solo un’impresa che persegue fini illeciti e/o usa mezzi illeciti o illecitamente accumulati, ma è un’impresa-stato. È cioè un’articolazione, uno strumento operativo di una associazione, quella mafiosa, che storicamente si reputa e si comporta come forma alternativa di Stato. Perché questa precisazione? Perché ne consegue che l’impresa mafiosa, in quanto impresa-stato, trasferisce nel territorio in cui opera i propri metodi, violenti. Ciò significa che è agente di trasformazione sociale. E questo è importante da sottolineare, tanto più nei piccoli comuni, quelli in cui la presenza dello Stato è minima o timida, o più facilmente corruttibile. Con questa prospettiva diventa prioritario mettere in pista tutto ciò che è possibile per evitare che la massa di soldi pubblici che il Governo sta mettendo in circolazione nel nostro sistema economico venga intercettata dal sistema mafioso per raggiungere i propri fini illeciti. Ciò significa intervenire affinché l’organizzazione mafiosa arretri sul terreno dell’aggressione nell’economia legale.

A proposito di epidemia, una domanda inevitabile per chi è stata 5 anni al Pirellone: la Lombardia ha rispetto al Covid-19 la situazione sanitaria peggiore al mondo, con numeri da incubo. Ma non ci avevano sempre decantato “l’eccellenza della Sanità Lombarda”?

La favola, o, come si dice ora, le fake news, dell’eccellenza lombarda è stata smascherata. Il re è nudo. Fatto salvo il dramma emergenziale che si è dovuto affrontare, e su cui tutti stanno viaggiando a vista, ci sono almeno due aspetti da considerare. In primis, l’eccessiva, se non esorbitante, presenza politica nella sanità, oltretutto passata, negli anni, verso una massiccia presenza del privato o del convenzionato. Le nomine politiche dei direttori generali, sanitari e amministrativi all’interno dei punti strategici ospedalieri e territoriali ha radici formigoniane e racconta una storia di incompetenze, corruzioni, presenze mafiose, frodi e favoritismi. Tutto ciò determina inefficienze, storture, malasanità. Dall’altro, sono state evidenti le errate strategie sanitarie lombarde.

Ci aggiunga che il grande bacino di soldi della sanità, che occupa l’80% del bilancio regionale, è un boccone appetibile per tanti, anche in un periodo come quello pandemico, se non, come detto sopra, ancor più in questo periodo.

Per finire, dopo questi scenari desolanti, riesce a trasmettere ancora un messaggio di speranza?

Ho un’indole tendenzialmente positiva, grazie al cielo. Tendo a vedere sempre il lato positivo e a fidarmi di ciò che mi riserva il futuro. Sa, l’anno scorso ho sfiorato la morte, il terzo infarto mi ha fatto provare una sensazione strana, indescrivibile, di pace infinita. È stato come aver avuto la consapevolezza concreta di non dover temere nulla, né in terra, né in cielo. A patto di avere come unico pensiero l’amore: per il nostro Padre, per noi stessi, per i nostri fratelli e sorelle, per tutte le meravigliose specie viventi di questo meraviglioso universo.

E poi, sa, io sono amante dello studio: ci sono troppe materie affascinanti e interessanti da studiare; non si può sprecare il tempo con il pessimismo! E a proposito di studio, ecco cosa abbiamo perso: la capacità di studiare, soprattutto i credenti dedicano troppo poco tempo allo studio della propria religione e delle altre discipline che si incrociano con essa (dalla teologia alla filosofia, dalla psicologia alla sociologia, e anche la fisica quantistica). Insomma, essere credenti è l’opposto dell’essere fideisti ignoranti. Affiancare la fede alla ragione è un’attività necessaria e urgente per non cadere in squallidi pensieri fideisti, integralisti e irrazionali.

Abbiamo bisogno di elevarci. Anche perché ci pariamo dietro alla scusa dell’essere troppo impegnati e oberati di lavoro, spazzando la polvere sotto il tappeto. E così non dedichiamo il tempo nel comprendere come funziona la vita: camminiamo giorno dopo giorno nell’insicurezza e nel caos, da cui derivano opportunità meravigliose o difficoltà inattese. Sono, però, fatti della vita che dobbiamo inevitabilmente sperimentare; il punto non è ciò che ci accade, ma come reagiamo a ciò che ci accade.

Non voglio apparire saccente, ma ci dimentichiamo troppo spesso che ciò che conta è svegliarsi la mattina e poter dire: «Sono viva». Torniamo ad apprezzare ciò che abbiamo, senza invidiare ciò che hanno gli altri, proviamo ad amare chi ci circonda senza voler cambiare i loro caratteri, perdoniamoci e perdoniamo un pochino di più, allentando la tensione sui risultati materiali, che lasciamo, tra l’altro, su questa terra quando moriremo.

E, soprattutto, iniziamo a dedicarci al difficile, interminabile e faticosissimo scavo archeologico dentro di noi, lasciandoci aiutare dalla mano invisibile (e non sto pensando ad Adam Smith); quella mano, volenti o meno, ci accarezza più di quanto crediamo ed è di Colui che alla domanda «Maestro, tu chi sei?», risponde sempre e per ognuno di noi: «Io Sono con te». Sono con te. È un’esplosione di felicità e serenità questa affermazione, se ci soffermassimo a ragionarci su.

Dobbiamo ritornare ad avere un quotidiano contatto con Dio, e, quindi, con il nostro vero «io»: sta a noi scegliere se e quando iniziare, per non rischiare di arrivare al penultimo respiro per accorgersi di aver perso la vita dietro a della spazzatura.

Paolo Gulisano

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