Scozia, un Sì è per sempre

Scotland - yesÈ giunto il giorno fatidico, lungamente atteso da oltre trecento anni. Oggi il popolo della Scozia è chiamato a scegliere se continuare a restare parte del Regno Unito o tornare ad essere una nazione, come era stata per quasi un millennio, fino al 1707, l’anno in cui un parlamento scozzese corrotto e venduto agli inglesi votò l’Atto di Unione, la legge con la quale la Scozia cessava di essere una nazione libera ed indipendente. A partire dal 1 marzo di quell’anno, definito dai patrioti scozzesi annus horribilis, l’intera isola britannica ricadde sotto un unico governo, quello di Londra. Fu il momento più oscuro della storia della nazione, in cui essa stessa, per volontà della maggioranza dei propri rappresentanti politici e dell’aristocrazia, rinunciava alla propria libertà consegnandola agli inglesi in cambio di vantaggi economici – peraltro riservati ad una ristretta oligarchia.


Dopo tre secoli gli scozzesi hanno la possibilità di rimediare, anche se – ancora una volta, pur con mezzi diversi- su questo popolo grava la minaccia di pesanti conseguenze economiche. “Staccatevi, e vi ridurrete in miseria” è il messaggio sempre più esplicito che viene dai grandi potentati finanziari e bancari del regno. Per questo motivo la battaglia degli indipendentisti scozzesi è quella non solo di un piccolo popolo di cinque milioni di abitanti, ma anche di tutti coloro che vogliono vincere la paura di restare indietro nella competizione globale, che è diventato il principio predominante della politica internazionale. Non solo le imprese, ma anche gli Stati si trovano intrappolati in una situazione di competizione continua, dove ogni partecipante dipende dalle decisioni degli altri giocatori. E la Gran Bretagna, come ha ricordato anche recentemente Cameron alla comunità europea, si ritiene un global player,un competitore globale che non guarda in faccia a nessuno. La Scozia a questo gioco non ci vuole più stare: vuole essere uno Stato in cui applicare il principio del “piccolo è bello” elaborato mezzo secolo fa dal grande economista cattolico Schumacher. Vuole la possibilità di una vera, legittima autodeterminazione, che non ha niente a che fare con discriminazioni, xenofobie, egoismi che spesso vengono evocati come le principali caratteristiche dei movimenti indipendentisti. Con tutto ciò la Scozia non ha nulla a che fare.

Il risveglio dell’identità scozzese è stato lungo, lento, faticoso, ma paziente. Nel 1982 san Giovanni Paolo II, in visita in Scozia, colse questa istanza profonda del popolo scozzese, lui che era un patriota polacco e che aveva vissuto il dramma di una patria in catene. Alle migliaia di giovani radunati a Glasgow disse: “Figli carissimi della Chiesa Cattolica in Scozia! Le Sacre Scritture danno una testimonianza eloquente della fede incrollabile posta in Dio da una generazione dopo l’altra. (…) La Chiesa fu profondamente coinvolta nella lotta per l’indipendenza nazionale, con i suoi vescovi in prima fila con i vostri patrioti. (…) Voi siete gli eredi di questo sacro retaggio”.

Parole estremamente eloquenti, pronunciate in una terra dove il cattolicesimo era stato a lungo perseguitato e discriminato. Un Paese che pure aveva trovato nella Chiesa uno dei pilastri della sua identità. Nel 1320, sei anni dopo aver sconfitto sul campo di battaglia di Bannockburn l’esercito inglese, i notabili scozzesi avevano redatto nell’Abbazia benedettina di Arbroath uno straordinario documento, che era una lettera al Papa in cui gli scozzesi chiedevano alla più alta autorità morale di farsi garante del loro diritto alla libertà. “Possa piacervi – scrivevano- di ammonire ed esortare il Re degli Inglesi affinché sia soddisfatto di ciò che possiede, dal momento che l’Inghilterra un tempo era sufficiente per sette o più sovrani, e lasci noi Scozzesi in pace, noi che viviamo in questa povera piccola Scozia, al di là della quale non vi sono più terre abitabili, e che non desideriamo altro che ciò che è nostro.”

Un’anticipazione del principio di sussidiarietà e del Distributismo. Ma gli scozzesi dissero altro al pontefice, che ancora oggi sembra di grande attualità: “Santo Padre, dal momento che vedete la bestialità dei pagani che infuria contro i Cristiani, come i peccati dei Cristiani hanno di certo meritato, e vedete le frontiere della Cristianità retrocedere ogni giorno, (…) incitate i prìncipi cristiani che per false ragioni fingono di non poter andare in aiuto della Terra Santa a causa delle guerre che hanno in corso coi loro vicini. La vera ragione che li impedisce è che facendo guerra ai loro vicini più piccoli, essi trovano un più rapido profitto e una opposizione più debole.” È impressionante leggere la vicenda storica scozzese attraverso il manifesto di Arbroath: non semplicemente un’epopea cavalleresca, ma la battaglia di tutto un popolo. L’anelito alla libertà, intesa non secondo l’astrattezza delle ideologie, ma come il frutto concreto della verità e della giustizia, assurge a dei livelli che restano ineguagliati da parte delle moderne dichiarazioni politiche.

Questa Scozia gloriosa venne cancellata nel ‘700, quando- dopo aver schiacciato le rivolte che volevano riportare sul trono la dinastia cattolica degli Stuart, l’Inghilterra spezzò la Scozia con le prime pulizie etniche della storia. Gli stessi inglesi le chiamarono proprio così, letteralmente: Clearances. Centinaia di miglia di scozzesi vennero deportati nei futuri Stati Uniti, in Canada, in Australia. Era la soluzione definitiva al problema rappresentato da secoli dal fatto che una parte significativa della Scozia restava appassionatamente attaccata alla fede e alla libertà, e si rivelò insieme un ottimo affare economico. Enormi foreste vennero distrutte per far posto alle pecore e per fornire il legname per le esigenze della costruzione navale e per l’edilizia britannica. La Scozia diventò totalmente subalterna all’Inghilterra in campo economico. L’alternativa alla miseria o all’emigrazione era l’arruolamento nelle forze armate, e il prezzo di sangue pagato dagli scozzesi nelle guerre dell’Impero Britannico è stato altissimo. Certo, come nei giorni scorsi è stato spesso ricordato dagli unionisti, la Scozia ha avuto modo, all’interno del Regno Unito, di prendere parte alla grande, potente storia di quest’ultimo. Ma ne valeva la pena? Il cuore degli scozzesi sa bene la risposta, e le ragioni del cuore, oltre che della storia, dicono che oggi sulla scheda bisogna segnare Yes.

Paolo Gulisano

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-scozia-un-si-e-per-sempre-10358.htm

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