Lungi dall’essere un mero “assistente sociale”, il presbitero è principalmente il “ministro dell’Eucaristia” e della “misericordia”
Nel corso dell’Ultima Cena, istituendo il Sacramento dell’Eucaristia, Gesù aveva detto: “Fate questo in memoria di me”. L’Eucaristia dunque non ricorda semplicemente un episodio, ma ricorda Lui. Per celebrare questo Sacramento, Gesù istituì il Sacerdozio. Il prete, infatti, è in primo luogo colui che può ripetere ogni giorno, in persona Christi, le parole del Signore stesso. In un tempo in cui i rapidi cambiamenti culturali e sociali allentano il senso della tradizione ed espongono specialmente le nuove generazioni al rischio di smarrire il rapporto con le proprie radici, il sacerdote è chiamato ad essere, nella comunità a lui affidata, l’uomo del ricordo fedele di Cristo e di tutto il suo mistero. La sua è un’esistenza « consacrata.
Troppo spesso la figura del sacerdote è stata banalizzata, ridotta ad una sorta di “assistente sociale”. In realtà i sacerdoti sono i celebranti, ma anche i custodi del compito affidato da Gesù stesso ai suoi apostoli. Da questo stretto rapporto del prete con l’Eucaristia trae il suo senso e la condizione “sacra” del sacerdozio. Tanti sacerdoti hanno dato, in questo, una testimonianza esemplare, suscitando fervore nei fedeli presenti alle loro Messe, attraverso un’esistenza protesa verso Cristo.
Soprattutto nel contesto della nuova evangelizzazione, ai sacerdoti la gente ha diritto di rivolgersi con la speranza di vedere in loro Cristo. Ne sentono il bisogno in particolare i giovani, che Cristo continua a chiamare a sé per farseli amici e per proporre ad alcuni di loro la donazione totale alla causa del Regno. Non mancheranno certo le vocazioni, diceva san Giovanni Paolo II, se si eleverà il tono della vita sacerdotale, se i preti saranno più santi, più gioiosi, più appassionati nell’esercizio del nostro ministero: “Un sacerdote conquistato da Cristo più facilmente “conquista” altri alla decisione di correre la stessa avventura”.
Non v’è dubbio che il sacerdote, con tutta la Chiesa, cammina col proprio tempo, e si fa ascoltatore attento e benevolo, ma insieme critico e vigile, di quanto matura nella storia. Il sacerdote – diceva sempre san Giovanni Paolo II, “non deve avere alcun timore di essere “fuori tempo”, perché l’”oggi” umano di ogni sacerdote è inserito nell’”oggi” del Cristo Redentore. Il più grande compito per ogni sacerdote e in ogni tempo è ritrovare di giorno in giorno questo suo “oggi” sacerdotale nell’”oggi” di Cristo, immerso in tutta la storia — nel passato e nel futuro del mondo, di ogni uomo e di ogni sacerdote”.
Se si analizzano le attese che l’uomo contemporaneo ha nei confronti del sacerdote, si vedrà che, nel fondo, c’è in lui una sola, grande attesa: egli ha sete di Cristo. Il resto — ciò che serve sul piano economico, sociale, politico — lo può chiedere a tanti altri. Al sacerdote si chiede Cristo. E da lui si ha diritto di attenderselo innanzitutto mediante l’annuncio della Parola. Uno dei principali compiti del sacerdote è quello di annunziare a tutti il Vangelo di Dio. E un misterioso, formidabile potere quello che il sacerdote ha nei confronti del Corpo eucaristico di Cristo. In base ad esso egli diventa l’amministratore del bene più grande della Redenzione, perché dona agli uomini il Redentore in persona. Celebrare l’Eucaristia è la funzione più sublime e più sacra di ogni presbitero. E per me, fin dai primi anni del sacerdozio, la celebrazione dell’Eucaristia è stata non soltanto il dovere più sacro, ma soprattutto il bisogno più profondo dell’anima. Inoltre, il sacerdote è Ministro della Misericordia. Come amministratore del sacramento della Riconciliazione, il sacerdote adempie il mandato trasmesso da Cristo agli Apostoli dopo la sua risurrezione: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).
Il sacerdote è testimone e strumento della misericordia divina! Amministratore dei misteri divini, il sacerdote è uno speciale testimone dell’Invisibile nel mondo. E infatti amministratore di beni invisibili e incommensurabili, che appartengono all’ordine spirituale e soprannaturale.
Quale amministratore di simili beni, il sacerdote, è in permanente, particolare contatto con la santità di Dio, e vive ogni giorno, in continuazione, la discesa di questa santità di Dio verso l’uomo: a costante contatto con la santità di Dio, il sacerdote deve lui stesso diventare santo. E il medesimo suo ministero ad impegnarlo in una scelta di vita ispirata al radicalismo evangelico. Questo spiega la specifica necessità, in lui, dello spirito dei consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza. In questo orizzonte si comprende anche la speciale convenienza del celibato. Da qui il particolare bisogno di preghiera nella sua vita: la preghiera sorge dalla santità di Dio e nello stesso tempo è la risposta a questa santità.
Se il Concilio Vaticano II parla della universale vocazione alla santità, nel caso del sacerdote bisogna parlare di una speciale vocazione alla santità. Il mondo di oggi reclama sacerdoti santi. Soltanto un sacerdote santo può diventare, in un mondo sempre più secolarizzato, un testimone trasparente di Cristo e del suo Vangelo. Soltanto così il sacerdote può diventare guida degli uomini e maestro di santità. Gli uomini, soprattutto i giovani, aspettano una tale guida. Il sacerdote può essere guida e maestro nella misura in cui diventa un autentico testimone della fede.
Soltanto dal terreno della santità sacerdotale può crescere una pastorale efficace. Il segreto più vero degli autentici successi pastorali non sta nei mezzi materiali, ma nascono dalla santità dei sacerdoti. La santità di vita del sacerdote che si esprime nella preghiera e nella meditazione, nello spirito di sacrificio e nell’ardore missionario.
Questo, appunto, Gesù si aspettava dai suoi Apostoli, come l’evangelista Giovanni sottolinea raccontando della lavanda dei piedi. Questo anche il Popolo di Dio si attende dal sacerdote, che egli attui nella propria carne quel “prendete e mangiate”con cui Cristo, nell’Ultima Cena, affidò se stesso alla Chiesa.
Un’esistenza “salvata”per salvare.
Paolo Gulisano
http://www.zenit.org/it/articles/s-come-sacerdote