Stefano Andrini è un brillante giornalista e scrittore romagnolo. Insieme al suo alter ego Alessandro Di Leva ha aggiunto alla sua già interessante produzione, saggistica e narrativa, questo libro intrigante. Si tratta di un’opera di fantasia, ma non nel senso che spesso si dà a questo tipo di narrativa, cioè un’evasione dalla realtà, ma un modo diverso di leggere la realtà. Ben presto, col passare delle pagine, il lettore si accorgerà che i riferimenti alla realtà sono ovunque. Riconoscerà – celati ma non troppo da pseudonimi leggeri come veli di seta – i protagonisti della politica italiana, e non solo.
Stefano Andrini e Alessandro Di Leva ci offrono questo romanzo che definire Fantasy è quantomeno restrittivo. Sono riconoscibili le influenze sugli autori di grandi maestri del romanzo surreale come Gilbet Keith Chesterton, o il primo Guareschi, quello del Marito in collegio e Il destino si chiama Clotilde. Precisiamo doverosamente: per surreale non intendiamo grottesco o improbabile. Semplicemente, significa che c’è qualcosa che supera il reale, pur non prescindendo da esso.
In fondo anche un grande della narrativa italiana, Dino Buzzati, oggi purtroppo dimenticato, procedeva così. Per lui la letteratura era ultimo baluardo del mistero. Il mondo si riveste di mistero quando ci accorgiamo che il razionalismo non ha l’ultima parola su ogni cosa. Ci sono luoghi in cui appare ancora possibile la dimensione del prodigioso. Così l’ultimo baluardo del mistero è e resterà proprio la letteratura, luogo dove ogni impossibile si fa possibile. Nella narrazione degli improbabili e degli impossibili appare un’altra realtà.
Andrini e De Leva ci raccontano un mondo reale che guardato con occhi magari un po’ strampalati- come i cosiddetti “pazzi” di Chesterton, rivela se stesso nella sua verità. Il mondo delle App, di Facebook, di Twitter è fasullo più di qualunque fiaba, più di ogni narrazione fantastica. E allora, ci dice la coppia Andrini-Di Leva, via alle indagini, con occhi capaci di stupirsi. Anche con umorismo. Il lettore di queste pagine sarà gratificato dalle infinite chicche di frizzante umorismo che vi troverà. Una per tutte la seguente, emblematica come una sentenza: “Aveva ragione Mia Martini. Duri e puri, sembrano non dover chiedere mai. Invece bastano due linee di febbre o gli occhi dolci della moglie o dell’amante per fargli perdere la testa e mollare i pappafichi”.
Gli autori di questo libro, dicevamo, non vogliono solo farci sorridere e divertire, che peraltro è già di per sè cosa buona, giusta e meritoria. Vogliono farci pensare. Vogliono farci riflettere sul mondo 2.0 con le tante miserie e gli inganni della Rete.
Oggi spesso si vive senza indagare alcun mistero, perché esso spaventa portandoci nell’insondabile buio delle nostre insicurezze. Anzi: si dice che queste non devono essere toccate. Il nemico è chi è troppo sicuro, chi ha certezze solide. Ma non ci si rende conto che quelle insicurezze ci consumano dentro, insieme al tempo della vita.
Come impiegare degnamente l’unica vita che concessaci? Nessuno ci pensa. Ci pensano i protagonisti dell’opera buffa di Andrini e Di Leva, in un intreccio ricco di colpi di scena che intrigano il lettore fino all’ultima pagina. Si può scegliere di non pensarci e di vivere nell’inquietudine, facendosi schermo della propria stessa ottusità. Oppure si può aprire gli occhi. Il PukaPuka (c’è un mistero anche dietro questo nome di lingua Maori) non può vincere. Non deve. Ne va della nostra sopravvivenza.
Paolo Gulisano