31 dicembre 2019: mentre il mondo si accingeva a festeggiare il nuovo anno, la Commissione Sanitaria Municipale della città di Wuhan, in Cina, segnalava all’Organizzazione Mondiale della Sanità un focolaio di casi di polmonite di causa ignota nella città stessa di Wuhan, nella provincia di Hubei. Era l’inizio dell’epidemia in corso causata da un nuovo tipo di virus.
Quella sera stessa, in Piazza San Pietro, una fedele cattolica cinese cercava disperatamente di comunicare con Papa Francesco. La misteriosa pellegrina rivolgeva alcune concitate frasi al vescovo di Roma, che come ben noto la respinse schiaffeggiandola irato. Da alcune fonti, sembra che la donna gli avesse chiesto di proteggere i fedeli cinesi, ma anche avesse voluto avvisare il pontefice di questa nuova tremenda piaga sanitaria che stava avendo inizio in Cina.
Una decina di giorni dopo, l’allarme sanitario nel Paese asiatico divenne pubblico, e si rese noto che la maggior parte dei casi aveva un legame epidemiologico ormai accertato con il mercato all’ingrosso di frutti di mare e animali vivi di Huanan, nel sud del Paese. Il 9 gennaio 2020, il Centro cinese per il controllo delle malattie infettive ha riferito che era stato identificato come agente causale un nuovo coronavirus, definito 2019-nCoV.
Che cos’è un coronavirus? Con questo nome vengono chiamati una serie di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la sindrome respiratoria acuta grave (SARS). Il nome SARS evoca eventi drammatici accaduti nel 2003, quando questa sindrome provocò la morte di 775 persone nel mondo. L’attuale virus sembra dunque rappresentare secondo studiosi autorevoli una nuova forma virale imparentata con la SARS.
Oggi si ha la memoria corta, ma nel 2003 la SARS dominò le prime pagine giornalistiche e i notiziari televisivi finché l’Organizzazione mondiale della sanità dichiarò che l’epidemia poteva considerarsi esaurita in ogni parte del mondo. Questo però non significava che la malattia fosse sparita, o che il virus che la provocò si fosse estinto. Dopodiché non se ne parlò più e la paura delle epidemie trovò altri protagonisti, dall’Aviaria alla Suina, pandemie annunciate e mai verificatesi. Nel nostro Paese, il verificarsi di sporadici casi di Meningite – che non sfuggono mai all’attenzione dei Media sempre pronti ad amplificarne la portata – è in grado di determinare vere e proprie psicosi collettive.
Nel caso dell’epidemia del nuovo Coronavirus cinese, si sta leggendo veramente di tutto, con uno scatenarsi della dietrologia. Da chi sostiene che il numero dei contagi e delle vittime è in realtà molto più alto di quello che le fonti governative cinesi, e che rappresenta un’ipotesi plausibile, perché già nel 2003 con la SARS il governo cinese sottostimò l’epidemia e iniziò in ritardo gli interventi di contenimento della diffusione del virus, a chi parla di un episodio di guerra batteriologica, di un’ arma microbica sfuggita a qualche laboratorio militare, e così via. Ipotesi magari suggestive, ma tutte da dimostrare. Allo stato attuale sono comunque necessarie maggiori informazioni per comprendere meglio le modalità di trasmissione e le manifestazioni cliniche di questo nuovo virus, sperando che le autorità cinesi siano molto più collaborative di quanto non furono con la SARS.
Per ora resta l’evidenza di una epidemia atipica, partita dalla Cina, ma che potrebbe diffondersi ben oltre la Grande Muraglia. È un dato incontrovertibile che in un mondo globalizzato, anche le malattie vengono globalizzate, come conseguenza degli spostamenti in massa di persone. Un dato su cui i fautori entusiastici delle migrazioni incontrollate dovrebbero ben riflettere.
Attualmente la probabilità di introduzione del virus in Europa è considerata bassa, anche se non può essere esclusa. Va quindi evitato ogni eccessivo allarmismo, pur mantenendo la guardia alzata. Si diceva che il focolaio di infezione è stato un mercato del pesce: questo nuovo coronavirus infatti sembrerebbe di origine animale, ma in grado di passare all’uomo, attraverso un contatto stretto con persone infette. I sintomi di una persona infetta da un coronavirus includono febbre, tosse, difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte. Non esiste allo stato attuale un trattamento specifico per la malattia causata da un nuovo coronavirus. Il trattamento deve essere basato sui sintomi del paziente.
Tra le varie ipotesi complottistiche c’è anche quella che vedrebbe questa epidemia come occasione per produrre, vendere e far profitto con nuovi vaccini. In effetti da più parti si è già cominciato a parlare di vaccinazioni, come possibile toccasana per difendersi dall’infezione. In realtà, questo non è possibile in tempi brevi, proprio per le caratteristiche di questi Coronavirus. Parlare di vaccinazioni imminenti è quindi una vera bufala.
In tutta questa vicenda, nei suoi riflessi mediatici, nell’allarmismo sempre più crescente, è importante riconoscere una certa origine di tipo psicologico e culturale: perché l’uomo teme tanto le malattie trasmesse da virus? Cosa rappresenta il timore del contagio? Cosa realmente è accaduto nella storia, e perché nel Terzo Millennio le malattie trasmissibili rappresentano ancora una minaccia così sconvolgente?
Sono interrogativi che ci si deve porre, che è inevitabile porsi in particolare quando ci si ricorda che nella storia si sono verificate numerose pandemie, dagli esiti culturali e sociali spesso gravi e imprevedibili. Non parliamo solo delle memorabili pestilenze dell’antichità, ma anche di eventi molto vicini a noi, fra cui la citata spagnola, e di minacce recentissime se non addirittura ancora incombenti, come l’AIDS, la tubercolosi, i virus africani. Oggi è l’epidemia cinese che suscita una forma di psicosi collettiva, ma domani potremmo confrontarci con altre minacce, ipotetiche o reali.
E in merito alle ipotesi di virus usciti da laboratori segreti: sappiamo bene che dopo l’attacco del 2001 alle Torri Gemelle le istituzioni e i media hanno più volte fatto riferimento alla minaccia di azioni terroristiche con uso di armi biologiche, e dunque alla possibilità che una pandemia possa essere iniziata scientemente da un gruppo etnico o politico ai danni di un altro, liberando nell’ambiente agenti patogeni selezionati o modificati per ottenere gli effetti più devastanti. Ma, ripetiamo, occorre trovare le prove, la “pistola fumante”. Inoltre, per le sue caratteristiche, non sembrerebbe che il Coronavirus possa essere un’arma ideale, e il rischio di una diffusione incontrollata, ben oltre le ipotetiche “linee nemiche”, potrebbe rivoltarsi contro chi avesse deciso di farne uso.
La realtà è che nel corso della sua storia, l’umanità ha dovuto affrontare più volte la minaccia delle infezioni, delle stragi causate da un responsabile microscopico e sconosciuto, e la nostra memoria ancestrale conserva forse ancora tracce del terrore antico delle pestilenze. Dalle citazioni della Bibbia alle descrizioni di Tucidide e Lucrezio, dalla “Morte nera” medievale fino alla peste del ‘600, per giungere infine al ‘900 con le speranze suscitate da una scienza medica che sembrava destinata a trionfare su virus e batteri grazie a farmaci e vaccini, ma che si ritrova oggi ad affrontare nuovi e inquietanti pericoli, la storia delle pandemie ci racconta della difficile coesistenza tra l’uomo e i virus.
In altri casi si è persa memoria di antiche micidiali e misteriose epidemie come quella che colpì l’Inghilterra nel XVI secolo, chiamata “malattia del sudore”, un morbo più temibile della stessa peste bubbonica, che uccideva nel giro di poche ore chi rimaneva colpito. Moltissime sono quindi le epidemie di cui restano testimonianze storiche, ma delle quali è impossibile identificare l’eziologia, ossia l’origine, il microrganismo responsabile. Questi virus killer sono scomparsi, si sono estinti, o potrebbero tornare a colpire, magari mutati geneticamente? Questo è il vero problema.
Paolo Gulisano