Paxlovid, il flop del superfarmaco anti-Covid

Annunciato come un’arma miracolosa per combattere il Covid se il vaccino avesse fatto cilecca, l’antivirale è stato acquistato in 600 mila dosi solo in Italia con costi ingenti. Ma solo il 20% l’ha usato anche perché nel frattempo si è imparato a curare con gli antinfiammatori. E Pfizer ora corre ai ripari “correggendo” il bugiardino su scadenza e conservazione. 

Era stato annunciato un anno fa come la “pillola magica”, il farmaco che avrebbe dato il colpo finale al Covid: è il Paxlovid, l’antivirale uscito dagli stabilimenti Pfizer. Naturalmente non avrebbe dovuto essere una alternativa al vaccino, ma completarne l’opera. Qualora infatti nonostante le varie dosi del siero a mRNA un paziente avesse contratto ugualmente il Covid (eventualità che in effetti si è verificata in centinaia di migliaia di casi) sarebbe stato pronto il superfarmaco che avrebbe sconfitto il virus.

Albert Bourla, presidente e amministratore delegato di Pfizer, dichiarò: «Abbiamo progettato il programma di sviluppo clinico per Paxlovid in modo che fosse completo e ambizioso con l’obiettivo di essere in grado di aiutare a combattere il Covid-19 in una popolazione molto ampia di pazienti». Il farmaco venne approvato e autorizzato per l’uso condizionale o di emergenza in più di 60 paesi in tutto il mondo per il trattamento di pazienti ad alto rischio di sviluppare malattie gravi. Fin dall’inizio, tuttavia fu chiaro che si trattava di un farmaco che già nei test precedenti alla messa in commercio non aveva dato risultati particolarmente significativi e che presentava degli effetti collaterali importanti, in particolare proprio nelle categorie dei più fragili (come ad esempio i cardiopatici) per i quali avrebbe dovuto essere destinato in modo peculiare.

A distanza, dunque, di un anno dalla sua introduzione nell’uso terapeutico, emergono dei dati sconcertanti.

Secondo i dati del monitoraggio attivato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) sull’utilizzo del medicinale Paxlovid, di cui il Governo italiano acquistò 600.000 dosi lo scorso anno, al 7 marzo risultano essere stati curati con questa terapia circa 120.000 pazienti. Pari al 20% di tutta l’enorme partita acquistata da Draghi, Speranza e soci.

Il Governo aveva deciso che il farmaco non avrebbe dovuto costare nulla al paziente, e venne quindi distribuito a farmacie e case di riposo. Il costo era totalmente a carico dello Stato, e non era indifferente: una cura per 5 giorni equivaleva a 700 euro. Perché questo farmaco – che pure era stato ampiamente pubblicizzato, e nei confronti del quale i medici erano stati adeguatamente sensibilizzati attraverso webinar, incontri, materiale informativo – è stato così scarsamente utilizzato?

Per vari motivi. Il dottor Pierluigi Bartoletti, vicesegretario della Federazione italiana Medici di Medicina Generale (Fimmg) in un’intervista ha dichiarato che il problema era la poca dimestichezza nell’identificare e incasellare i soggetti a rischio di malattia grave, quelli per i quali è indicato questo medicinale. La colpa, quindi, viene scaricata sui gestori – tecnici e politici – della pandemia, che avrebbero dovuto fornire protocolli più dettagliati. Una giustificazione piuttosto debole.

Ma dalla Fimmg arrivano anche critiche ai vertici attuali della Sanità: c’è una mancanza di chiarezza – si dice – nelle indicazioni politiche a considerare o meno il Covid ancora come una priorità e un’emergenza. Si potrebbe rispondere ai colleghi che esprimono queste lamentele, che non sono certo i politici, in primo luogo, che devono decidere in merito, ma è dai medici, dai dati clinici, dai dati epidemiologici che si valutano le decisioni da prendere.

Negli scorsi giorni, ad esempio la Regione Lombardia ha dichiarato che le Terapie Intensive sono vuote da malati Covid. Evidentemente le condizioni epidemiche sono molto cambiate, e chi fa il Medico di Medicina Generale dovrebbe essersene reso conto, così come delle opportunità terapeutiche (che peraltro c’erano fin dall’inizio) per curare efficacemente il Covid. Ma forse questo concetto non è ancora abbastanza chiaro.

Bartoletti infatti, auspicando un maggior uso di Paxlovid, sostiene che «è rimasta l’unica arma contro il Covid-19, dopo che il Molnupiravir è stato sospeso dall’utilizzo per mancanza di efficacia, e gli anticorpi monoclonali sono ugualmente risultati scarsamente efficaci». Un’ammissione pubblica molto significativa, quella sugli anticorpi monoclonali e su altri antivirali. Nel frattempo, tuttavia, sono usciti parecchi studi sull’efficacia di altri semplici farmaci come gli antinfiammatori, senza quindi dover ricorrere al Paxlovid la cui reale efficacia e sicurezza è ancora tutta da verificare.

Ma c’è un ultimo aspetto preoccupante rispetto a questo enorme surplus del farmaco inopinatamente acquistato in una quantità abnorme: la scadenza. Ma ancora una volta si ripropone una soluzione quantomeno disinvolta: l’allungamento arbitrario dei tempi di scadenza. La Pfizer ha potuto estendere di 6 mesi la data di scadenza dei lotti dell’antivirale per l’utilizzo in Italia. In una comunicazione inviata ai medici prescrittori del febbraio scorso, si legge: «Desideriamo informarla che la confezione di Paxlovid che Le è stata consegnata presenta sulla confezione una data di scadenza non aggiornata. Quindi nel caso in cui ad oggi la data di scadenza risulti superata, questo non significa che il prodotto sia da considerarsi scaduto. Infatti, il 24 gennaio 2023 l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ha approvato un nuovo periodo di validità per Paxlovid estendendolo da 18 mesi a 2 anni. Questo significa che le confezioni che riportano sulla scatola e sul blister una data di scadenza compresa tra novembre 2022 e novembre 2023 restano valide per un periodo più lungo rispetto alla data di scadenza stampata. Questa estensione del periodo di validità si applica al medicinale prodotto dopo la data di approvazione della corrente modifica, come anche retrospettivamente a tutti i lotti di Paxlovid prodotti prima della data di approvazione del 24 gennaio 2023».

Altro elemento interessante è che con l’approvazione del nuovo periodo di validità, sono state modificate anche le condizioni di conservazione. La frase «Non conservare a temperatura superiore a 25 °C. Non refrigerare o congelare» è stata modificata in: «Questo medicinale non richiede alcuna condizione particolare di conservazione».

Basta un tratto di penna e si risolve tutto. Quindi adesso per altri sei mesi si può prescrivere alla grande. Ammesso che ci siano ancora casi per farlo. Ammesso che tutto questo sia corretto.

Paolo Gulisano

https://lanuovabq.it/it/paxlovid-il-flop-del-superfarmaco-anti-covid

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *