Tommaso Moro, la coerenza come virtù

tommaso moro-copertinaUn raffinato intellettuale laico, un brillante avvocato, un politico dagli alti ideali. Un uomo caratterizzato da una fede intensa e profonda ed estremamente concreto, dedito al bene comune e alle opere di misericordia.

Tutto questo è stato sir Thomas More, uno degli umanisti più in vista nell’Europa del XVI secolo e consigliere del re d’Inghilterra Enrico VIII. Ma Moro è stato anche Autore di un’opera a noi oggi poco conosciuta: il racconto Utopia, scritto in lingua latina e pubblicato nel 1516.

Nel libro, fresco di stampa, Un uomo per tutte le utopie – Tommaso Moro e la sua eredità (Ed. Ancora, p. 167, 15 euro), il medico e scrittore Paolo Gulisano restituisce ai Lettori una corretta immagine di Tommaso Moro e della sua influenza culturale. In particolare si propone – riuscendosi perfettamente – di (ri)portare  alla luce Utopia, un testo che aveva un fine anche oggi di grande attualità: ridestare nella coscienza umana il desiderio di cose belle, buone e grandi, nell’ottica di sollecitare il miglioramento morale e il pieno adeguamento dell’azione con la coscienza.

Utopia, opera che è diventata un vero e proprio paradigma letterario, prende il titolo da un neologismo coniato da Moro stesso e che letteralmente significa: “un luogo felice inesistente”. Nella società ideale, ma nel contempo molto concreta, che abita l’isola immaginaria descritta da Moro, vi è un profondo e fecondo legame tra la morale naturale e cristiana e la politica. Fede e ragione, teoria e prassi: è nell’integrazione di questi diversi aspetti che gli uomini perseguono il loro anelito alla felicità.

In questo un ruolo cruciale è svolto dal concetto di virtù, che “[…] permette di tenere insieme i vari aspetti dell’umano nei quali può realizzarsi la moralità dell’individuo, secondo fede e ragione”. E, in particolare, Utopia si basa sulle quattro virtù cardinali: saggezza, fortezza, temperanza e giustizia, vissute secondo una formulazione pre-cristiana e necessariamente tradotte in azioni concrete.

“Il sogno di Moro, il suo ideale coerentemente descritto, è – commenta Gulisano – che possano esistere anche ‘strutture virtuose’, o meglio: che possa esistere una società in cui il bene, un bene non teorico ma in azione, possa espandersi quasi sistematicamente a tutte le facoltà umane, a tutte le sue azioni, ai fini e ai valori vissuti in tale società. Per questo occorre opporsi alle leggi inique che impediscono all’uomo di vivere le virtù. Per questo bisogna, al contrario, diffondere le buone pratiche che possono invece sostenerle” (p. 85).

Utopia dunque, lungi dal costituire una fuga dalla realtà, è un possibile indirizzo per arrivare alla perfezione in Dio. E come non vedere, in tutto questo, un messaggio per la società del nostro tempo, così priva di valori e sempre più spesso vittima del mondo islamico? Come ebbe a scrivere nel 1929 Gilbert Keith Chesterton, ancora una volta acuto e illuminato profeta: “Il beato Thomas More è più importante oggi che in qualunque altro tempo fin dalla sua morte, forse anche più che del grande momento del suo morire, ma non è ancora così importante come sarà tra un centinaio di anni”.

Gulisano ha ridato luce a un’opera, quella di Tommaso Moro, che è un richiamo per ognuno di noi a tendere all’eubiosia, ossia alla cura di una vita buona e bella. Oggi più che mai è necessario impostare la propria quotidianità cercando di vivere con Dio e per Dio, con concretezza. Tommaso Moro è morto per questo e per questo la Chiesa lo venera quale modello di santità nella vita pubblica.

Giulia Tanel

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-tommaso-moro-la-coerenza-come-virtu-17244.htm

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