Nel Settembre di 80 anni fa iniziava la Seconda Guerra Mondiale, un evento catastrofico che portò a enormi sofferenze, a milioni di morti, e a un cambiamento epocale delle nostre società. In Inghilterra, un poeta, un filosofo, un pensatore appartato e solitario – benché stimato e apprezzato nel mondo letterario – mise mano, come risposta, agli appunti di tre conferenze che aveva tenuto nei mesi precedenti all’Università di Cambridge.
Il libro, col titolo L’idea di una società cristiana (pubblicato in Italia da Gribaudi) uscì l’anno seguente, quando gli eventi bellici sembravano indirizzarsi verso un trionfo del III Reich. Di lì a poco, invece, le sorti della Guerra sarebbero cambiate, e altre potenze sarebbero emerse dal calderone infernale del conflitto: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. E l’Europa? Era avviata inesorabilmente al proprio tramonto.
Così un americano trapiantato in Inghilterra, e innamorato della cultura classica e della Civiltà europea, scrisse questa breve opera che può essere considerato un vero e proprio classico della cultura del Novecento, immancabile in ogni buona biblioteca. “A intraprendere questo studio – scrive Eliot nell’incipit dell’opera – fui mosso dal sospetto che i termini consueti nei quali discutiamo di questioni internazionali e di teorie politiche servano soltanto a nascondere a noi stessi la vera situazione in cui versa la civiltà contemporanea. Avendo scelto d’occuparmi di un problema così vasto, dovrebbe essere chiaro fin d’ora che le mie pagine hanno poca importanza di per sé. Possono essere utili solo se intese come contributo individuale a un dibattito che dovrà impegnare molte persone ancora per molto tempo”.
Parole quanto mai vere. Eliot riprende e sviluppa quella che era stata in precedenza una sua intuizione poetica: il nostro mondo ha dimenticato “tutti gli dèi, salvo la Lussuria, l’Usura e il Potere”. È la descrizione tragica di un mondo che ha voltato le spalle a Dio, che non ne vuole più sapere, che predilige gli idoli. Ma come potrà sopravvivere una società senza Dio?
Come arriva Eliot a questa visione della società, a questa analisi filosofica e quasi teologica della Modernità? Vi arriva da lontano. Era nato negli Stati Uniti, di famiglia borghese, e aveva studiato nel prestigioso ateneo di Harvard, dedicandosi anch’egli alla letteratura europea. In particolare, ammirava Dante, e studiò l’italiano per poterlo leggere in originale. Nel 1910 si trasferì a Parigi e poté così studiare alla Sorbona, dove frequentò le lezioni di Henri Bergson ed entrò in contatto con il Simbolismo francese. Ritornò poi ad Harvard per conseguirvi la laurea in Filosofia. Nel 1914 vinse una borsa di studio per studiare al Merton College dell’università di Oxford, trasferendosi quindi in Inghilterra. Allo scoppio della Guerra si spostò a Londra, dove in seguito trovò lavoro come impiegato presso la Lloyd’s Bank e cominciò a pubblicare le prime poesie.
Conobbe un connazionale, anche lui trasferitosi in Europa ad abbeverarsi alla sua storia e alla sua cultura: Ezra Pound. Entrambi avevano la convinzione che parole e idee possono cambiare il mondo. La buona letteratura, la buona poesia, la buona opera d’arte può compiere una metamorfosi nell’uomo: dà a esso la capacità di compenetrare a fondo il presente della sua esistenza. Tenta di dare un ordine al caos indiscriminato della storia.
Questo fu proprio l’obiettivo di Eliot: riportare ordine nel caos della cultura di inizio secolo, e perfino nel cuore dell’uomo. In particolare, Eliot rivolse il suo sguardo alla Tradizione. La conclusione della Prima guerra mondiale, con la distruzione di antichi imperi come quello asburgico e l’emergere di nuovi Stati nazionali e di altrettanti nuovi nazionalismi, lasciò l’Europa in una condizione di grave crisi.
Per molti intellettuali fu sempre più chiaro che il conflitto ideologico combattuto per tutto l’Ottocento contro la Tradizione (Chesterton scrisse che nell’Ottocento la Chiesa aveva dovuto difendere la Tradizione, mentre nel Novecento avrebbe dovuto difendere la Ragione), si era concluso con il trionfo di ideologie dissolutrici dell’uomo, come la Rivoluzione Bolscevica, e con il dilagare nella cultura del positivismo progressista. Molti artisti decisero di cavalcare decisamente l’onda rivoluzionaria: dalla Francia alla Germania fino all’Inghilterra, i primi a intuire che il vecchio mondo borghese e romantico dell’Ottocento era finito, furono gli artisti e gli scrittori delle avanguardie. Futuristi, cubisti, espressionisti, dadaisti, costruttivisti, tutti accomunati dal furore iconoclasta di una rivolta totalizzante che avrebbe spazzato via le certezze del passato.
Thomas Stearns Eliot, conservatore nel senso migliore del termine, che non aveva subito il fascino oscuro dei totalitarismi, e che aveva visto nel Cristianesimo la sola, vera risposta alle domande del cuore dell’uomo, scelse di essere un testimone lucido e solitario. L’idea di una società cristiana rappresenta una delle sue più preziose eredità, e un monito prezioso, anche in tempi in cui il suo sogno di restaurare una società tradizionale con il passare del tempo sembra essersi infranto di fronte all’inarrestabile evoluzione della postmodernità verso la dissoluzione dell’uomo.
Paolo Gulisano