L’invenzione del vero, libri antichi e nuovi – Julien Green: “Non c’è domani”

Tra le varie forme di narrativa, una delle più particolari, antiche e affascinanti è il teatro. Fin dai tempi degli antichi greci è esistita la rappresentazione teatrale, ovvero una sorta di drammatizzazione delle vicende umane, dei sentimenti, delle virtù e dei mali che si agitano nel cuore umano.

Il teatro riesce a volte a dire cose che un racconto o un romanzo non sono in grado di evocare. Ricordiamo che alcuni dei più grandi capolavori dell’arte narrativa sono opere teatrali, dalle tragedie greche fino a Shakespeare. Opere come Amleto o Macbeth o Romeo e Giulietta hanno una potenza comunicativa senza pari. Il teatro mette in scena drammi umani, colti in modo particolareggiato, ed è quello che fa in questo dramma in tre atti lo scrittore francese di origine americana Julien Green.

Nato a Parigi, i suoi genitori venivano entrambi dagli Stati Uniti, e – particolare non secondario – dagli Stati del Sud. La cultura della Georgia e della Virginia, la memoria della tragedia della Guerra Civile erano stati trasmesse fin da bambino a Julien. Fu il primo aspetto dell’identità di Green. Il secondo, e ben più importante, fu la conversione al cattolicesimo dalla fede protestante in cui era nato. Portò alla Chiesa cattolica anche il padre e le sorelle.

Ma Green non era destinato a diventare uno dei vari apologeti convertiti che caratterizzarono il mondo culturale europeo della prima metà del XX secolo. Green dovette fare i conti con la propria inclinazione affettiva che lo portò fin da giovane a innamorarsi di persone dello stesso sesso. Green visse questa condizione omosessuale – che nella sua coscienza metteva in discussione il pur fortissimo sentimento religioso ­– con una problematicità, una fatica, una drammaticità, degna di rispetto. La sua stessa arte presenta questo conflitto, e ogni sua opera narrativa contiene la sfida tra bene e male che si combatte nel cuore di ogni persona.

Un cristianesimo tormentato, ma anche in grado di esprimere riflessioni come questa: “Amare sino a morirne qualcuno di cui non si sono mai viste le sembianze né intesa la voce, è tutto il Cristianesimo. Un uomo sta in piedi presso una finestra e guarda la neve che cade, e d’un tratto s’insinua in lui una gioia che non ha nome nel linguaggio umano. Nel più profondo di questo istante singolare, egli prova una tranquillità misteriosa, non turbata da nessun cruccio temporale; qui è il rifugio, l’unico, poiché il Paradiso altro non è che amare Dio, e altro Inferno non v’è che non essere con Dio”.

L’edizione francese di 
Non c’è domani

L’opera teatrale Non c’è domani. Tre atti di Julien Green, meritoriamente riscoperta da una piccola ma sagace casa editrice, Fuorilinea, e curata dall’anglista Annunziata Antonazzo, la principale studiosa italiana di Green, mette in scena le vicende di una famiglia di Messina, mentre sta per verificarsi il terrificante terremoto del dicembre del 1908. È appena trascorso il Natale, e i protagonisti sono colti nella loro vita quotidiana, nelle piccole vicende di ogni giorno, mentre le loro vite stanno per andare in pezzi, mentre l’intera città sta per essere distrutta da un cataclisma di dimensioni inimmaginabili.

La vita a Messina trascorre pacifica, ogni personaggio ha le sue aspettative, i suoi problemi, i suoi desideri, ma di lì a poco tutto finirà, sarà travolto dalla morte, dalla distruzione, e da quella condizione terribile che vivranno anche gli stessi sopravvissuti. Nulla sarà più come prima: Messina, inconsapevole, va incontro alla tragedia che le toglierà il suo domani.

Non c’è domani è la prima opera teatrale di Green, Demain n’existe pas, nel titolo originale in lingua francese. Nacque dall’impressione suscitata nello scrittore dalle testimonianze che aveva raccolto durante un suo viaggio in Sicilia. Un’opera che suscita una riflessione sulla fragilità della condizione umana. Un’opera che suscita inquietudine, una sana inquietudine, perché come scrive lo stesso Green: “Finché si è inquieti c’è da star tranquilli”. Un aforisma davvero prezioso.

Paolo Gulisano

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