A leggere i commenti di certa stampa, la celebrazione del Centenario delle apparizioni di Fatima sembrerebbe avere “ridimensionato” la portata straordinaria del messaggio che la Madonna diede ai pastorelli. In casa cattolica, qualcuno sembra tirare un sospiro di sollievo: è andata anche questa. Si è riusciti a contenere la portata soprannaturale dell’evento delle Apparizioni, dei messaggi che Maria diede al mondo, della richiesta accorata che la Madonna fece di conversione e di riparazione. Queste ultime parole proprio sembrano essere scomparse dal lessico ecclesiale corrente. Qualcuno ha voluto metterci però un po’ di polemica, come Stefania Falasca che nel suo editoriale su Avvenire non ha proprio potuto fare a meno di lanciare le sue frecciate alla “prosopopea dei “fatimiti”, la scia coreografica dei detective del mistero e i suoi interpreti improvvisati”. Basta con i misteri e i messaggi apocalittici, insomma. Facciamo rientrare Fatima nella pastorale ordinaria. Maria può andare bene come madre dei poveri e regina delle periferie.
Leggendo questi commenti, riflettevo su quello che disse a Fatima esattamente cinquant’anni papa Paolo VI. Solitamente si guarda alla figura di Giovanni Paolo II come “pontefice di Fatima”, ma ciò che disse papa Montini nel corso della sua visita in Portogallo in occasione del Cinquantesimo delle Apparizioni, fu davvero straordinario e merita di essere ripreso.
Il pontefice salutò innanzitutto al suo arrivo nella Cova di Iria le famiglie, i giovani, e con particolare tenerezza coloro che- disse- sono tribolati e affaticati, i malati e coloro che piangono, ricordando come Cristo chiami a Sé per farci soci della sua Passione redentrice e per consolarci. Il papa chiese di pregare per la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Pregare, innanzitutto, per la sua pace interiore. Il Concilio Ecumenico, disse, ha risvegliato molte energie nel seno della Chiesa, ha aperto più ampie visioni nel campo della sua dottrina, ha chiamato tutti i suoi figli a più chiara coscienza, a più intima collaborazione, a più alacre apostolato. “A Noi preme che tanto beneficio e tale rinnovamento si conservino e si accrescano.
Quale danno sarebbe se un’interpretazione arbitraria e non autorizzata dal magistero della Chiesa facesse di questo risveglio un’inquietudine dissolvitrice della sua tradizionale e costituzionale compagine, sostituisse alla teologia dei veri e grandi maestri ideologie nuove e particolari, intese a togliere dalla norma della fede quanto il pensiero moderno, privo spesso di luce razionale, non comprende o non gradisce, e mutasse l’ansia apostolica della carità redentrice nell’acquiescenza alle forme negative della mentalità profana e del costume mondano!”.
Una interpretazione “arbitraria e non autorizzata”: il papa metteva in guardia da quello che stava accadendo e che sarebbe diventato il mitico Postconcilio. Lanciava proprio da Fatima l’appello perché la Chiesa non si appiattisse sulle ideologie della modernità. Il papa aggiunse: “Noi vogliamo chiedere a Maria una Chiesa viva, una Chiesa vera, una Chiesa unita, una Chiesa santa”. E ancora: “Noi vogliamo pregare affinché il culto di Dio ancora e sempre primeggi nel mondo, e la sua legge informi la coscienza ed il costume dell’uomo moderno. La fede in Dio è la luce suprema dell’umanità; e questa luce non deve spegnersi nel cuore degli uomini”.
Il papa poi ebbe parole di ricordo per quei paesi nei quali la libertà religiosa era praticamente oppressa, e dove la negazione di Dio era promossa quasi essa rappresentasse la verità dei tempi nuovi e la liberazione dei popoli, mentre così non è. “Noi preghiamo per tali paesi; Noi preghiamo per i fratelli credenti di quelle nazioni, affinché l’intima forza di Dio li sostenga e la vera e civile libertà sia loro concessa”. Un riferimento chiarissimo a quei popoli oppressi dall’ideologia disumana del Comunismo. Infine parlò della pace del mondo: “È la pace, sì, un dono di Dio, che suppone l’intervento d’una sua azione, estremamente buona, misericordiosa e misteriosa. Ma non è sempre un dono miracoloso; è un dono che compie i suoi prodigi nel segreto dei cuori degli uomini; un dono perciò che ha bisogno d’una libera accettazione e d’una libera collaborazione.
E allora la Nostra preghiera, dopo d’essersi rivolta al Cielo, si rivolge agli uomini di tutto il mondo: Uomini, Noi diciamo in questo singolare momento, uomini, procurate d’essere degni del dono divino della pace. Uomini, siate uomini. Uomini, siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione del bene totale del mondo. Uomini, siate magnanimi. Uomini, sappiate vedere il vostro prestigio e il vostro interesse, non contrari, ma solidali col prestigio e con l’interesse altrui. Uomini, non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione e di sopraffazione; pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione. Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest’ora, che può essere decisiva per la storia della presente e della futura generazione; e ricominciate ad avvicinarvi gli uni agli altri con pensieri di costruire un mondo nuovo; sì, il mondo degli uomini veri, il quale non potrà mai essere tale senza il sole di Dio sul suo orizzonte”.
Infine, ribadì quello che era stato il messaggio dato lì, a Fatima, cinquant’anni prima, dalla Madonna: preghiera e penitenza, questo avrebbe salvato il mondo dalle tragedie e dalle catastrofi, e avrebbe portato i cuori alla conversione. Non so se Paolo VI possa rientrare nel novero dei “fatimiti” e dei “detective del mistero”, ma certo è che dopo cinquant’anni i suoi giudizi, le sue preghiere, il suo magistero, sono più che mai da sottoscrivere e da condividere. E l’evento di Fatima ha ancora tutto il suo valore, dopo cento anni. Il suo messaggio essenziale è che la nostra vita può cambiare. Il peccato può essere vinto, perdonato, se il nostro cuore cambia, se ci convertiamo. Allora cambia tutta la vita. Certo: i problemi restano, le difficoltà restano, la vita non diventa tutta rose e fiori, ma acquista un senso più grande. Fatima è questo.
Paolo Gulisano
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