Servire con il cuore

Profilo dei santi medici Giuseppe Moscati e Riccardo Pampuri in due volumi delle edizioni Ares

«Curare significa anzitutto “servire” una persona, avere sollecitudine per lei. Nessuno, nel corso della storia umana, ha dato miglior prova del prendersi cura che Gesù Cristo.

La missione di Gesù era stata quella di annunciare la salvezza. Una salvezza per l’anima, ma anche un amore che si piegava su ogni spettro dell’umanità, in particolare quella sofferente». Sono parole di Paolo Gulisano, autore dell’interessante volume Giuseppe Moscati. Il santo medico (Edizioni Ares, Milano, 2022, pagine 176, euro 15), testo che riesce con feconda semplicità e ricchezza spirituale a presentare la figura del medico come un amico con il quale confidarsi, con cui poter parlare dei propri problemi di salute e spirituali. Moscati ci aiuta a riflettere — in questa xxxi Giornata mondiale del malato — su cosa voglia dire curare i sofferenti, essere vicino a loro, con quella “tenerezza medica e spirituale” propria del medico santo; tenerezza che viene sottolineata in ogni pagina di Gulisano.

«In tanti avevano attinto fiducia dal suo sorriso tranquillo e consapevole, in un momento di sconforto o di depressione. In tanti avevano sentito nella sua pratica medica, l’aiuto di un fratello amoroso o di un padre. Quanto bene aveva fatto questo medico dotto e caritatevole, modesto e silenzioso, vero medico del corpo e dell’anima». È questo l’identikit a cui ogni medico, di ogni tempo, dovrebbe attingere per vivere appieno la propria vocazione. Non ci sono solamente le cure e le diagnosi ma deve esserci spazio — Moscati docet — per le carezze per l’anima, riflesso delle carezze del Cristo che si piega su ogni malato: «La risposta di Gesù alla richiesta esplicita di guarigione è la compassione». Cum-patior, soffrire con, in latino, e il medico santo aveva proprio questa capacità di essere cum i sofferenti, per cum-dividere il loro dolore: «Ma lui stesso viveva internamente una grande pena quando, nonostante il desiderio e la volontà di lenire i dolori del prossimo, si vedeva costretto ad arrendersi ai progressi inesorabili del male».

Però Moscati non è solo medico e illuminato ricercatore scientifico, è anche profeta di una umanizzazione della medicina quanto mai sempre attuale: «Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ci accorgiamo che oltre i corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, per le quali urge il precetto di amarle come noi stessi», scrive il santo. Conscio dell’importanza della medicina ma, al contempo, del limite dell’uomo di fronte al mistero della malattia e della morte, Moscati ricorda che «non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo. Solo pochissimi uomini sono passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell’eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso».

Questa proiezione verso l’infinito, verso la vita oltre la morte, è la stessa che anima un altro medico santo, frate dell’Ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio, Riccardo Pampuri, del quale sempre la casa editrice Ares ci offre un ampio e accurato profilo biografico dal titolo Riccardo Pampuri, medico del corpo e dello spirito (Milano, 2022, pagine 288, euro 18), scritto da Rino Cammilleri. Il volume è impreziosito da una prefazione — già presente in una precedente edizione dell’opera pubblicata da Rizzoli nel 1997 — di don Luigi Giussani. Le vicende biografiche di Pampuri risultano più rocambolesche di quelle di Moscati: da studente universitario della Facoltà di medicina a Pavia, il giovane Erminio (questo il nome prima di prendere i voti) si ritroverà sul fronte di guerra del primo conflitto mondiale dal quale, tra una preghiera e una pagina del Vangelo, uscirà eroe con una medaglia di bronzo e con la nomina a sergente. Si placa il rombo della guerra e nella vita di Erminio può farsi strada nuovamente il silenzio delle pagine dei libri di medicina; riesce così a laurearsi e comincia il suo tirocinio di medico condotto, professione «ideale per uno col pallino dell’apostolato», come evidenzia Cammilleri. E sarà proprio l’incontro quotidiano con il sofferente a far crescere ancor di più in Pampuri la fede in Dio: «Finito il giro delle visite, prima di rientrare a casa si fermava per un “tu per tu” col Sacramento». La preghiera vocale si alternava alla contemplazione del Signore nel tabernacolo, e le scrupolose visite mediche ai pazienti curati con amore si avvicendavano alla carità che elargiva ai bisognosi che incontrava, a chi non poteva permettersi la spesa di una medicina necessaria per la cura appena prescritta: «Quando prendeva lo stipendio andava di filato a Besate dove il ricevitore postale era anche farmacista e là faceva un vaglia per una congregazione religiosa, un altro per un istituto benefico, un altro per le missioni; di tutti aveva una lista e lo stipendio si esauriva in quel modo».

Carità, parola fondamentale per Giuseppe Moscati così per Riccardo Pampuri che non fuggirà dagli ammalati di tubercolosi; lui, «che era santo e anche lui tisico», se li stringeva al cuore. Gesù toccava gli ammalati e con la sua mano toccava il dolore.

di Antonio Tarallo

https://www.osservatoreromano.va/it/search.html?q=san+Giuseppe+moscati

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