L’invenzione del vero, libri antichi e nuovi – Fabio Franceschetti: “La contessa di ferro”

Una delle forme narrative più piacevoli e intriganti è quella del romanzo storico. E più il periodo storico è antico, più c’è spazio per la fantasia, che non è mai un male. Negli scorsi anni è stato pubblicato un romanzo decisamente intrigante, in particolare per il fatto di essere un’opera di esordio. La Contessa di ferro (Mimep-Docete, 560 pagine, 14 euro) è un vero e proprio romanzo cavalleresco, di cui è autore Fabio Franceschetti, piacentino, quarantenne, pedagogista, appassionato lettore di grande narrativa, da Dante a Tolkien e Lewis, ma anche studioso della Bibbia e in tale veste definisce i due Libri di Samuele dell’Antico Testamento i primi grandi poemi “cavallereschi” della civiltà giudaico-cristiana.

E tale vuole essere anche il suo romanzo: una storia ambientata nell’anno 877 in una Europa cristiana, ancora agli albori di quel Sacro Romano Impero fondato da Carlo Magno, ma ancora assediata dai popoli pagani, i Normanni provenienti dall’estremo Nord, e dall’altra parte i saraceni mossi dal sogno islamico di conquista. Accanto a episodi storici l’autore descrive vicende di fantasia mettendo in rilievo anche la crisi culturale e spirituale della società di allora simile a quella di oggi, l’abbandono delle radici cristiane per interesse politico ed economico, l’uso del potere e della forza come strumenti di dominio, l’avanzare dell’irrazionalità di forme spurie di paganesimo ibridate con l’occultismo.

Cinque cavalieri cristiani e la protagonista, la Contessa di Ferro, tengono vivi gli ideali di libertà e di fede cristiana e, tra mille avventure, battaglie e pericoli riescono a respingere i nemici. Si pongono al servizio di padre Giovanni, un religioso che ha ricevuto il compito di creare una cavalleria cristiana, i «paladini di Dio». Ricevono un incarico dal papa, Giovanni VIII e quindi partono «in missione per conto di Dio»; tuttavia, nel loro cammino, si imbattono in una situazione apparentemente disperata: una vedova e un orfano chiedono giustizia.

I cavalieri accettano questo nuovo provvidenziale incarico che vedrà soccombere, seppure vittoriosi, una metà di loro. L’autore sceglie una ambientazione piuttosto insolita nella narrativa cavalleresca, quella altomedioevale, perché è nell’Alto Medioevo che nasce l’ideale cavalleresco, quando i cosiddetti barbari, sedotti dal cristianesimo, mettono freno alla loro forza indomita e comprendono di doverla usare non per crudeltà e sopraffazioni, bensì per un ideale più alto.

I Paladini di Carlo Magno, nella letteratura epica, vogliono rappresentare proprio questo ideale e sono per l’appunto personaggi appartenenti al IX secolo. Un secolo che fu anche il tempo del tentativo (ahimé, naufragato, dopo Ludovico il Pio) di creare un’Europa dei popoli nella quale la comune fede cristiana facesse da collante tra popoli differenti per storia, cultura ed etnia.

Uno dei temi centrali del romanzo è il “dilemma del guerriero cristiano”. Il cristianesimo è una religione di pace, tuttavia, spesso, nel corso della storia, i cristiani hanno dovuto combattere. Una contraddizione, apparentemente, e che nel romanzo è risolta dalla magnifica figura della Contessa di Ferro, ispirata in parte a Giovanna d’Arco, in parte a Matilde di Canossa. Un romanzo piacevole, rimasto nascosto per circa cinque anni dalla pubblicazione, ma che merita di essere scoperto e letto.

Paolo Gulisano

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