Quello del prete sta diventando un mestiere molto difficile. Tanto più se sei un prete serio, che circola con la tonaca, o quanto meno il clergyman, e non travestito da geometra come sempre più spesso accade. Amici sacerdoti di questo tipo mi dicono di essere guardati di traverso, in tram o per strada. La gente li guarda come se fossero tutti potenziali pedofili. Questa è la situazione causata dalle pecore nere del clero come Mc Carrick, Wuerl e soci, e dai loro autorevoli garanti, e ne fanno le spese tanti sacerdoti per bene.
Come rimediare? Intanto le gerarchie dovrebbero farsi un bell’esame di coscienza, come ha chiesto il migliore tra i cardinali americani, l’arcivescovo di Filadelfia Charles Chaput, per metà nativo americano, e quindi provvisto dell’antica saggezza dei pellerossa sterminati dagli avi degli attuali pedofili. Da questo esame potrebbe uscire che troppi preti non fanno i preti, ma gli assistenti sociali, gli psicoterapeuti, gli amministratori, anziché i Ministri del Sacro. Certo, la colpa è anche di quelle gerarchie che li esortano proprio a questo: ad andare on the road, abbandonando magari i confessionali, a fare “Chiesa in uscita” che in realtà sembra essere in libera uscita. Eppure, un modello di prete cui guardare c’è, eccome, che potrebbe funzionare. Un modello di prete di cui la gente ha nostalgia. Bisogna tornare a don Camillo. Proprio lui, il pretone della Bassa uscito dalla penna talentuosa di Giovannino Guareschi, lo scrittore italiano più letto e tradotto nel mondo, ma allo stesso tempo il più censurato in patria, dileggiato come reazionario.
Con periodicità costante le televisioni ripropongono da anni i film del ciclo di Don Camillo, liberamente – ispirati ai racconti di Giovannino Guareschi. Il favore presso il pubblico, è sempre di grado elevato, e il motivo sta nel fatto che don Camillo è esattamente ciò che le persone si aspettano da un prete: che celebri i Sacramenti, che preghi, che dica Messa, che confessi, e allo stesso tempo si prenda cura dei problemi concreti delle persone, senza fare sociologia. Quel modello di sacerdote che Guareschi difese fino all’ultimo respiro dall’assalto del nuovo clero progressista; uno scontro che descrisse efficacemente nel suo ultimo romanzo, Don Camillo e Don Chichì, scritto nel 1968. Da una parte vediamo le ragioni del sacerdote che per anni ha guidato con fede, con umanità e saggezza il suo gregge- senza odore di pecora, ma con un buon profumo di santità- e che viene bollato dal nuovo-che-avanza come un reazionario, un seguace del trinomio “Dio, Patria e famiglia”, e dall’altra il pretino modernista don Chichì (vezzeggiativo di Francesco) che ripete tutti gli slogan progressisti e aperturisti del tempo. Don Camillo è un prete che indossa sempre la veste sacerdotale, che non viene mai a compromessi sui principi, che non fa “dialogo” con i “lontani”, ma semmai parla con molta franchezza con tutti, con Peppone, con i comunisti, con lo scopo di annunciare la verità, e amministrare la giusta misericordia cristiana. Don Chichì invece è l’antesignano di chi cerca l’approvazione dei soloni del laicismo come Scalfari, di quei teologi prêt-à-porter che vogliono “svecchiare” la Chiesa rendendola prona alle mode del mondo. Don Camillo a tale proposito non aveva molti dubbi: la storia è una lotta tra la Chiesa che rende presente Cristo nella quotidianità e il mondo che lo rifiuta.
Qualcuno però potrebbe ricordare che anche papa Bergoglio tempo fa ad un Convegno della Chiesa italiana aveva parlato di don Camillo. Il problema è che l’aveva fatto edulcorando la figura del parroco della Bassa, facendone solo un antesignano del dialogo con la Sinistra. In realtà, il confronto con Peppone- come ben sanno i lettori di Guareschi- non fa sconti sulla Verità, che secondo il Vangelo è la sola cosa che ci rende liberi. Questa Verità è la prima preoccupazione di Don Camillo, con buona pace anche di chi- come il capo ciellino Vittadini che si è recentemente autoproclamato seguace di Guareschi- ne vuole dare un ritratto di “prete delle periferie esistenziali”. Una riduzione grottesca. Difficile anche immaginare un Don Camillo che approva l’endorsement di Vittadini per le unioni civili tra persone dello stesso sesso, per non parlare delle altre eresie che oggi vanno per la maggiore. Egli è invece molto di più: è un vero testimone della Fede. È il tipo di sacerdote burbero ma retto, onesto, buono, che ogni cristiano si dovrebbe augurare di incontrare, in parrocchia, e magari anche nelle sedi episcopali.
Paolo Gulisano
La Verità – 06 settembre 2018